Il Decreto Rilancio sta sostenendo adeguatamente la ripresa delle attività delle imprese italiane? In esclusiva, il parere e le proposte del presidente di CONFAPI Maurizio Casasco, che dal 1947 rappresenta le esigenze e gli interessi della piccola e media impresa del nostro Paese.
«Innanzitutto, va sottolineato che sono state date da parte del Governo delle soluzioni ordinarie a problematiche di natura straordinaria. Come Confapi abbiamo immediatamente fatto presente che ai decreti emessi doveva seguire la loro immediata attuazione pratica e ciò non è avvenuto. Era evidente, d’altronde, che con le aziende chiuse a causa del lockdown sarebbe mancato quel regime fiscale virtuoso per sostenere il sistema pubblico, la Sanità in primis, ma anche la Pubblica Amministrazione, le Forze dell’Ordine, l’Istruzione e tutto ciò che serviva per far ripartire le imprese in tutta sicurezza. Nel momento in cui l’Europa ha permesso la rottura dei vincoli di stabilità, bastava liberare la Cassa Depositi e Prestiti che avrebbe potuto finanziare il Paese secondo le necessità come, peraltro, è accaduto in Germania; passare attraverso la SACE è stata nuovamente una lottizzazione politica. Dopodiché attraverso l’Agenzia delle Entrate doveva essere data immediata liquidità direttamente sui conti correnti delle imprese, ma non a fondo perduto, bensì come investimenti. Tutto ciò non è stato fatto ma, in compenso, è aumentata la burocrazia. Non dimentichiamoci che in momenti di grandi difficoltà è lo Stato che deve andare incontro al cittadino, non viceversa».
Anche i meccanismi che avrebbero dovuto garantire immediata liquidità alle imprese tramite il sistema bancario si sono inceppati. Perché in Italia esiste sempre questo problema?
«In casi di emergenza come quello che stiamo vivendo, il sistema bancario va finanziato al cento per cento altrimenti, con molte aziende che nel periodo di lockdown sono uscite dai parametri del merito creditizio, l’erogazione del credito diventa troppo a discrezionalità della banca. Allo Stato è mancata una visione pratica del problema per cui, ripeto, all’emanazione dei decreti non è seguita la necessaria concretezza. Il risultato è che le aziende si sono ritrovate a riaprire con ordini scarsi, costi fissi di personale a cui si sono sommati quelli per la sanificazione degli ambienti. La Cassa Integrazione è un’ottima cosa dal punto di vista sociale ma ciò che più conta è poter tornare a lavorare, certamente in totale sicurezza, ma a determinate condizioni».
A proposito di condizioni, molti si chiedono perché riaprire i centri sportivi e non, per esempio, gli asili?
«Tenere chiuse le scuole, al di là dell’aspetto formativo e culturale, è una grossa limitazione per tutti quei genitori che devono riprendere il lavoro senza sapere dove mettere i figli. Questo significa mancanza di collegamento tra i vari Ministeri che l’emergenza Coronavirus ha ulteriormente peggiorato».
A parziale scusante del Governo c’è una crisi che per tempi e modi non si era mai vista finora. Cosa salverebbe delle scelte fatte?
«Sarebbe ingeneroso non riconoscere la bontà di alcune scelte fatte, come l’abolizione dell’Irap, il riconoscimento politico delle parti sociali, i contributi sugli affitti ecc. Ma, torno a ripetere, sono mancate decisioni concrete urgenti, come per esempio il rinvio del pagamento delle tasse che noi abbiamo chiesto a gran voce».
C’è chi vorrebbe un piano “shock” di investimenti statali, a cominciare dallo sblocco di molti lavori già finanziati, per rilanciare la nostra economia. Qual è la sua opinione a tal proposito?
«Qui si apre il tema delle infrastrutture non solo dei grandi appalti, che spesso hanno portato al fallimento di molte aziende per opere incompiute, ma anche dei piccoli appalti legati alle aziende del territorio come, per esempio, la ristrutturazione delle scuole che avrebbe portato, inoltre, un minor spostamento dei dipendenti, il minor rischio di infiltrazioni della malavita organizzata e la riqualificazione dei Comuni. A tal proposito, abbiamo proposto un fondo di alcuni miliardi di euro per tutte quelle imprese che non raggiungevano per poco il merito creditizio. Tutto ciò ci riporta al tema molto importante della fiducia all’imprenditore che è mancata anche in un momento così delicato. Gli investimenti pubblici, quindi, sono essenziali ma i finanziamenti devono essere dati ai vari Comuni, basando gli appalti per i prossimi mesi sulle leggi Codice europeo».
Siete favorevoli ai commissari straordinari?
«Siamo favorevoli ai commissari sulle opere pubbliche già autorizzate, anche a livello regionale. In altri termini non occorre un piano shock ma un piano di buon senso, altrimenti per pochi imprenditori e funzionari corrotti noi penalizziamo il sistema economico italiano».
Il piano di aiuti dell’EU per uscire dalla crisi post virus si è concretizzata nel Recovery Fund. In una lettera aperta di Cea-Pme indirizzata alla Von der Leyen, di cui lei è cofirmatario in qualità di presidente Confapi, vengono chiesti con forza 50 miliardi di euro da destinare alle PMI. Ciò nasconde il timore che il grosso dei fondi destinati alla ripresa finisca nelle mani delle grandi aziende?
«Assolutamente sì, in particolare delle multinazionali. Vogliamo che ci sia una percentuale specifica per la piccola e media impesa altrimenti chi è grande prende tutto e chi è piccolo diventa sempre più povero. Non dimentichiamo che in Europa ci sono 23 associazioni in rappresentanza di 2,1 milioni di Pmi che contano in totale 16,5 milioni di lavoratori. Un esempio su tutti è quello del settore Automotive. Il sostegno a questo comparto è legittimo purché i finanziamenti non finiscano solo nelle tasche delle grandi case automobilistiche, bensì anche all’intero indotto composto da Pmi di grande eccellenza».