Nel corso dell’ultimo anno in tema di sicurezza sul lavoro la sentenza emessa dalla seconda Corte d’Assise del Tribunale di Torino seguita al rogo della Thyssenkrupp di Torino che ha provocato sette morti la notte del 6 dicembre 2007 ormai nota come “sentenza Thyssen” è sicuramente l’evento più significativo:
• Herald Espenhahn, amministratore delegato per l’Italia della multinazionale, è stato condannato a 16 anni e mezzo di reclusione per “omicidio volontario con dolo eventuale” come era stato richiesto dalla pubblica accusa.
• Inoltre la Corte ha accolto le richieste dell’accusa anche per gli imputati. I consiglieri delegati Marco Pucci e Gerald Priegnitz, il direttore dello stabilimento torinese Giuseppe Salerno e il responsabile del servizio prevenzione rischi Cosimo Cafueri sono stati condannati a 13 anni e mezzo di reclusione per concorso in omicidio colposo e omissione di cautele antinfortunistiche.
• Mentre per Daniele Moroni, dirigente con competenze nella pianificazione degli investimenti in materia di sicurezza antincendio, la pena comminata è stata di 10 anni e 10 mesi per concorso in omicidio colposo e omissione di cautele antinfortunistiche, anche superiore ai nove anni richiesti dall’accusa.
• La società ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni Spa, per l’applicazione di quanto previsto dal Decreto legislativo 231/2001 sulla responsabilità amministrativa, è stata condannata al pagamento della sanzione di 1 milione di euro, nonché all’esclusione da contributi e sovvenzioni pubbliche per sei mesi, al divieto di pubblicizzare i prodotti sempre per sei mesi, alla confisca di 800mila euro, con la pubblicazione della sentenza sui quotidiani nazionali.
In mancanza delle motivazioni che hanno portato a questa sentenza che devono ancora essere depositate è possibile e doveroso procedere comunque ad alcune considerazioni.
La prima riguarda il riconoscimento del dolo “eventuale” (e non della colpa) nell’omicidio “volontario” (non più quindi colposo) del quale è stato riconosciuto responsabile l’amministratore delegato della società. Il senso comune (e il codice penale) definiscono la colpa come “assenza di volontà” nel commettere il reato ascritto, determinato invece da imprudenza, imperizia e negligenza da parte del reo. In tal senso, fino a ieri, la giurisprudenza si era espressa per i casi di infortuni (e morti) in fabbrica o sui cantieri, legando la responsabilità del soggetto alla sua mancata osservanza delle regole minime previste per la sicurezza sul posto di lavoro. Per la prima volta, invece, anche per questi casi è stato utilizzato il dolo eventuale. Si tratta di una forma di dolo indiretto, integrata nel caso in cui l’agente compie un atto, ignorando la pur alta probabilità che a questo ne consegua un altro. Nel caso dell’amministratore delegato del colosso dell’acciaio, parliamo della volontaria omissione nel mancato adeguamento delle strutture di sicurezza (intenzionale) che ha provocato la morte dei sette operai in quel terribile 6 dicembre 2007 (l’evento indiretto ma possibile al punto dal “correre il rischio”).
A questo riguardo è giusto specificare, come ha fatto lo stesso procuratore Guariniello, che «il dolo non è applicabile meccanicamente a tutti i casi di infortunio sul lavoro». La sentenza fa sicuramente scuola, ma non determina criteri automatici a danno del datore di lavoro. Ancora secondo il pm torinese, l’indagine era partita con la tipica accusa di omicidio colposo, salvo imbattersi in elementi rilevanti come le e-mail aziendali tra i membri del cda («abbiamo dovuto applicare metodologie di indagine nuove per gli incidenti sul lavoro, metodologie più tipiche da reati di criminalità organizzata; non ci siamo, insomma, fermati alle anomalie dello stabilimento: abbiamo cercato di capire perché si erano create quelle anomalie»). Non per ogni tragedia in materia occupazionale, insomma, si avrà una sentenza che ricalchi quella per i vertici Thyssen.
La seconda considerazione riguarda la severità delle pene comminate e l’individuazione dei soggetti responsabili.
Nella sentenza di Torino sono state comminate pene al Datore di lavoro, a consiglieri delegati, al direttore di stabilimento, al RSPP ed al dirigente con competenze sulle tematiche relative all’antincendio.
In questo senso si evidenzia che l’evoluzione normativa in tema di sicurezza sul lavoro ha visto nel 2008 la pubblicazione del Decreto Legislativo 81/08 noto anche come “Testo unico sulla sicurezza”il cui impianto, pur introducendo una serie di aggiornamenti rispetto ad alcuni rischi specifici, ha subito le modifiche più significative all’interno del Titolo I che va letto in coordinato con i Titoli XII (procedura penale) e XIII (norme transitorie e finali).
Una di queste modifiche va individuata all’interno dell’art.2 (definizioni) in combinato con l’articolo 299 (Esercizio di fatto di poteri direttivi) che sancisce in modo esplicito e definitivo la centralità dell’assetto organizzativo presente in azienda per la definizione degli obblighi e delle responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro.
Si tratta di una rilevante novità legislativa, ma in realtà è solo la fotografia di una situazione ben nota in giurisprudenza, ove l’individuazione del ruolo “di fatto” ricoperto dai soggetti interessati in materia di Sicurezza e Salute sul lavoro è da sempre propedeutica alla definizione dei capi d’imputazione per violazione delle norme. In altre parole, quando i problemi della Sicurezza e Salute sul lavoro arrivano in Tribunale da sempre non si dà peso determinante ai livelli contrattuali o alle posizioni negli organigrammi aziendali, per valutare il ruolo effettivamente svolto dai singoli soggetti coinvolti, i loro poteri reali e l’uso concreto che ne fanno. Su questo vi è Giurisprudenza costante: ora è scritta nella Legge, ed è perciò nota a tutti, ed è bene che tutti ne tengano conto.
È il caso di ricordare che tale individuazione non rileva solo ai fini delle sanzioni penali, ma investe anche gli aspetti civili del risarcimento dei danni e, in determinate situazioni, anche quelli amministrativi (appalti, licenze, concessioni, ecc.).
La terza considerazione derivante dalla sentenza di Torino riguarda un’altra modifica significativa introdotta dal “Testo unico” sulla sicurezza ed è contenuta negli artt. 30 e 300 all’interno dei quali si prevede che l’ENTE “Azienda” diventa destinatario primario delle norme di Sicurezza e Salute sul lavoro in quanto su di essa grava la responsabilità per gli illeciti nella specifica materia commessi dalle persone che operano per l’Azienda stessa, ex D.Lgs. 231/01.
A differenza delle normative “storiche” che hanno preceduto l’attuale D.Lvo 81/08, ora l’ENTE “Azienda” è diventato destinatario primario delle norme di Sicurezza e Salute sul lavoro in quanto su di essa grava la responsabilità per gli illeciti nella specifica materia commessi dalle persone che operano per l’Azienda stessa, ex D.Lgs. 231/01. Ai sensi di questa norma in caso di malattia professionale o infortunio con prognosi superiore ai 40 giorni si apre, d’ufficio, il procedimento penale a carico dei presunti responsabili, e in caso di condanna del Datore di Lavoro o di un soggetto dipendente dell’Azienda (Dirigente, Preposto o Lavoratore che sia) il Giudice penale è chiamato a comminare le sanzioni previste dalla Legge anche all’Azienda, che sarà chiamata a pagare con denaro prelevato dalle quote di patrimonio (capitale, ecc.) e a subire l’interdizione dall’attività per periodi compresi tra 1 giorno e 1 anno.
È prevista una scriminante a favore dell’Azienda in forza dell’art. 30 in forza della quale le Aziende che abbiano adottato ed efficacemente attuato un modello organizzativo in grado di assicurare l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi:
a) al rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici;
b) alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti;
c) alle attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
d) alle attività di sorveglianza sanitaria;
e) alle attività di informazione e formazione dei lavoratori;
f) alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori;
g) alla acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge;
h) alle periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate.
Il Modello Organizzativo deve essere documentato, verificato, sostenuto da un sistema disciplinare e prevedere un idoneo sistema di controllo sull’attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni d’idoneità delle misure adottate. A queste condizioni l’Ente Azienda non risponderà per le sanzioni previste dal D.Lgs. 231/01 neppure in caso di condanna di un soggetto ad esso riferito.
In sede di prima applicazione, i modelli di organizzazione aziendale definiti conformemente alle Linee guida UNI-INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 2001 o al British Standard OHSAS 18001:2007 si presumono conformi ai requisiti di cui ai commi sopra esposti per le parti corrispondenti.
Una sentenza come quella sul caso Thyssen è importante per il principio che afferma, ma non può essere solo una sentenza severa a risolvere il problema. Chi è abituato a disapplicare le leggi non cambia comportamento per la minaccia di sanzioni più dure.
Fino alla pubblicazione integrale della sentenza, delle motivazioni della decisione e soprattutto gli esiti motivazionali dei successivi ed eventuali gradi di giudizio, pare prematuro tracciare giudizi e sancire principi comportamentali definitivi, ma la sentenza ha aperto una strada, ha indicato una direzione: non distogliere gli occhi dai “ comportamenti errati” che coinvolgono i singoli, ma vagliare anche le scelte, le politiche aziendali che coinvolgono tutti e che non dovrebbero mai mettere in secondo piano la prevenzione e la tutela della sicurezza e salute dei lavoratori.
Oriano Lanfranconi – Pres. Gruppo Giovani Imprenditori Confapi
Vittorio Addis – Tecno Habitat spa

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