Il 22 settembre è entrato in vigore il decreto che istituisce l’obbligo di Green pass per 23 milioni di lavoratori italiani. A partire dunque dal 15 di ottobre e fino al 31 dicembre di quest’anno, data di scadenza dello stato di emergenza, sia i dipendenti del pubblico che quelli del privato dovranno essere in possesso della certificazione verde per entrare sul posto di lavoro.
Per quanto riguarda il privato, l’obbligo del Green pass è esteso anche a chi svolge le sue attività sulla base di contratti esterni. Come nel pubblico, le verifiche spettano ai datori, che dovranno definire le modalità organizzative entro il 15 ottobre. Per chi non è in possesso del certificato ci sarà l’assenza ingiustificata e di conseguenza il blocco dello stipendio, ma non la sospensione. Tuttavia le imprese con meno di 15 dipendenti, dopo il quinto giorno di assenza ingiustificata, potranno sospendere il lavoratore e sostituirlo, per un periodo non superiore a 10 giorni rinnovabili per una sola volta, dunque per un massimo di 20 giorni. Come per il pubblico, chi è senza certificazione sul posto di lavoro rischia una sanzione da 600 a 1.500 euro, mentre per i datori di lavoro la sanzione può andare da 400 a mille euro.
Confapi è intervenuta nel dibattito sul provvedimento che ha portato all’adozione di questa misura, proponendo durante un incontro con i segretari confederali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri, di far fronte comune tra parti sociali sulla richiesta al governo di obbligo vaccinale, soluzione caldeggiata anche sulla base delle valutazioni espresse dal Comitato Nazionale di Biosicurezza, Biotecnologie e Scienze della Vita (Cnbbsv) della Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’incontro tra Casasco, Landini, Sbarra e Bombardieri si è svolto nella sede di Confapi il 6 settembre.

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