Vivere questi tempi e questa Italia è straordinariamente difficile, ci si sente insicuri, dubbiosi sul futuro ed in generale più poveri non solo di risorse economiche, ma soprattutto di opportunità. Questi sentimenti sono ancora più intensi se sei un giovane e se sei un imprenditore, che attende da troppi anni quelle riforme, che vanno dal lavoro al welfare, passando per la giustizia e per i tagli agli sprechi della spesa pubblica, che continuano a pesare in maniera sempre più prepotente su di noi che ci sentiamo giustamente non solo la parte produttiva del paese, ma anche gli eredi della bellissima storia di impresa di questa nazione.
Per queste ragioni e non solo, come Gruppo Giovani Imprenditori di Confapi, ho e abbiamo voluto, confrontarci con i grandi economisti di questo paese, per dare un contributo vero, fattivo alla risoluzione dei problemi e proporre anche il nostro punto di vista, quello dei Giovani Imprenditori che volenti e nolenti erediteranno questa Italia con tutti i suoi pro e contro. Per iniziare abbiamo voluto confrontarci sull’analisi della spesa pubblica, che spesso è indicata come uno dei sintomi o delle cause della malattia italiana che va sotto il nome di “elevato rapporto tra debito pubblico e reddito nazionale”, per i vincoli che essa pone a una politica di bilancio coerente con i mutamenti della domanda e dei bisogni della collettività e per tentare di dare forma ad una concreta ipotesi, spesso avanzata, di ridurre la pressione tributaria come strumento per il sostegno della crescita economica.
La struttura della spesa pubblica ha avuto mutamenti rilevanti nel corso degli ultimi 60 anni. Per un lungo periodo il peso degli interessi passivi sul totale della spesa è progressivamente aumentato, passando al 3,8% nel 1951 al 10,7% nel 1980, al 12,7% nel 1993 per poi gradualmente ridursi fino all’8,8% nel 2010.
Nel corso del periodo in esame che va dal 1951 al 2010, si è drasticamente ridotto il peso delle componenti tradizionali dell’intervento pubblico, la fornitura di servizi pubblici, le spese per trasferimenti di sostegno alle famiglie e gli investimenti pubblici; complessivamente queste tre categorie di spesa assorbivano l’81,9% del totale nel 1951, il 59,8% nel 1980 e il 57% nel 2010.
La quota dei consumi pubblici nella spesa complessiva è scesa dal 54,4% nel 1951 e si è stabilizzata a partire dal 1980 nell’intorno del 41% del totale; la quota degli investimenti pubblici è scesa dal 15,4% del totale nel 1951 al 10,8% nel 1980 e al 6,8% nel 2010. I numerosi programmi di sostegno di individui, lavoratori e famiglie assorbivano il 12,1% del totale della spesa nel 1951, il 8,1% nel 1980 e il 8,8% nel 2010.
L’elemento chiave nella dinamica della spesa pubblica italiana è costituito dalla dinamica della spesa per pensioni, che assorbiva circa il 10% del totale della spesa nel 1951 e saliva al 22,7% nel 1980 e al 30,2% nel 2010.
La struttura demografica, economica e sociale dell’Italia è quindi profondamente mutata nel corso degli ultimi 60 anni. La spesa per le pensioni è stata ripetutamente influenzata da decisioni politiche nel corso delle sei decadi che consideriamo, in una prima fase con l’estensione dei benefici a categorie che non avevano mai contribuito al prelievo previdenziale, con età di pensionamento molto basse e con la definizione di regole molto generose di crescita delle prestazioni; in una fase successiva, con interventi diretti a rimuovere gli istituti più aggressivi e anomali che determinavano la crescita della spesa, infine con la riforma del 1995 e le successive sue integrazioni.
Quindi analizzando lo sviluppo e la crescita della spesa pubblica in Italia e della sua struttura per funzioni svolte e per livelli di governo, in relazione alle funzioni tradizionali di provvista di beni pubblici e di infrastrutture, di redistribuzione del reddito tra cittadini, di sostegno diretto o indiretto all’attività economica, si nota la continua riduzione della stessa e la crescita inferiore all’ inflazione nei settori chiave della crescita economica, che vanno dalle infrastrutture ai servizi, alla pubblica istruzione e alla ricerca, settori tipici di un paese che punta sullo sviluppo e sulle nuove generazioni e sui giovani. Vi è invece un incredibile aumento della spesa pensionistica, che non solo pesa sul bilancio dello stato in maniera considerevole, ma diventa insostenibile per le giovani generazioni di questo paese costrette a lavorare solo per sostenere il passato e non per creare futuro.
Nella nostra analisi abbiamo poi posto attenzione alle possibili inefficienze nella spesa pubblica seguendo le indicazioni maturate tra gli osservatori e gli studiosi che si occupano di organizzazione dell’amministrazione pubblica e che amerebbero vedere un settore pubblico capace di svolgere i suoi compiti in modo efficiente. Abbiamo quindi contribuito a quel sentimento diffuso sul fatto che la organizzazione sul territorio dell’offerta di servizi pubblici da parte di tutte le istituzioni coinvolte, dagli uffici periferici dello stato, agli enti territoriali, alle strutture quasi pubbliche come le Camere di Commercio, si caratterizzi per una organizzazione industriale o di sistema palesemente datata perché ancora oggi costruita sul modello “provinciale” tipico dello stato Ottocentesco. A ciò si aggiunga l’esistenza di un numero eccessivo di livelli di governo, con riferimento specifico alla questione mai affrontata delle province, di un numero eccessivo di enti locali (l’ultimo tentativo di riordinare l’assetto locale risale a una legge del 1810 nel Regno d’Italia napoleonico), di un numero eccessivo e indistinto di università, di tribunali e così via.
Secondo questa visione che noi condividiamo, quand’anche ciascuno dei centri di produzione dei diversi settori di attività distribuiti sul territorio nazionale potrebbe essere riorganizzato eliminando sprechi e inefficienze specifiche, resterebbe sempre un’endemica inefficienza di sistema, propria di un sistema industriale vecchio, cresciuto all’interno di barriere protettive, oltre che disorganizzato al proprio interno. Questa visione è propria di studiosi e politici che avevano posto molte speranze, nel 1970, sul ruolo che avrebbero potuto assumere le regioni a statuto ordinario nel riordino dell’offerta pubblica sui territori regionali. Purtroppo anche in questo caso, gli sprechi di risorse risultano abnormi, come l’aumento che è occorso negli ultimi 20 anni nelle spese per i servizi generali da tutti i livelli di governo, dall’amministrazione centrale all’amministrazione locale e che ha evidenziato, delle inspiegabili differenze nei livelli della spesa per abitante nei diversi territori, nella profonda differenza negli indicatori di produttività che si rilevano nella produzione dei servizi dello stato, delle regioni, delle province e dei comuni sui diversi punti del territorio nazionale e che andrebbero regolati con un indicatore unico di costo a livello nazionale, non solo per rispondere ad un esigenza di spesa equa, ma anche per garantire servizi qualitativamente alti e sostenibili nel tempo, a tutto vantaggio dei cittadini e delle imprese.
Infine, non possiamo non approvare l’avvenuta riforma del Titolo V della Costituzione e la legislazione recentemente adottata in tema di attuazione dell’art. 119 dello stesso Titolo, poiché suggeriscono una strada, capace di conciliare e anche di effettuare arbitraggi tra i saldi dei singoli enti o di singoli comparti, nel senso di rendere legittime temporanee violazioni della regola di riduzione dei saldi da parte di qualche ente se e in quanto compensate da performance migliori di quelle proposte dal vincolo generale da parte di altri enti.
Il rispetto del riaggiustamento dei saldi tra entrate proprie e spese finali, vincolante a livello regionale, valorizza il ruolo del decentramento, rafforza le forme di cooperazione tra enti diversi nella stessa regione e attribuisce al sistema delle autonomie, un ruolo autonomo nella politica di risanamento della finanza pubblica nel nostro paese.
In sintesi ed in conclusione, l’Italia oggi si trova a giocare una partita fondamentale, che la investe a livello internazionale di un ruolo di straordinaria responsabilità, non solo nei confronti dei suoi cittadini, ma dell’ intero Occidente: riformare se stessa, diventare un paese sostenibile, per le generazioni future e per i mercati, ritornare ad essere una terra piena di opportunità, veloce, modernizzata nei sistemi ed evoluta nella responsabilità sociale. In poche parole, tornare ad essere un luogo “GIOVANE”, nelle forme e nei modi, è l’unica soluzione all’attuale crisi che è di sistema. Certo bisognerà fare scelte coraggiose, ma indifferibili e sarà necessario agire con grande prontezza, noi Giovani Imprenditori di Confapi, ci sentiamo già oggi interpreti di questo paese del domani, non mancheremo di essere aiuto e sponda a chi ci proporrà, finalmente, un po’ di futuro e una vision che ci veda al centro come generazione, per tornare non solo a crescere, ma per riaffermare la nostra capacità di essere i primi e i migliori imprenditori nel mondo.
Oriano Lanfranconi
Presidente Gruppo Giovani Confapi
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1 commento
Una delle priorità attuali dell’Italia è la razionalizzazione della spesa pubblica con aumento dell’efficienza degli uffici pubblici, in particolre in determinate zone del paese.
Risulta necessario, come già detto nell’articolo, diminuire o eliminare le materie concorrenti tra i vari enti e dare certezza sull’iter burocratico.
Obiettivo degli uffici pubblici dovrebbe essere quella di aumentare la resilienza del sistema, dando un concreto sostegno al sistema privato ad alla sua efficienza – anche se spesso non compreso.
Altro aspetto importante che serve al paese è migliorare di molto il sistema dell’istruzione. L’Italia ha bisogno di persone preparate, in particolare nelle materie scientifiche, capaci di dare un importante contributo, possibilmente anche creativo, all’innovazione, elemento fondamentale per la crescita futura dell’Italia.
Il sistema pensionistico andrebbe riformato con divisione delle pensioni dei lavoratori che hanno pagato i contributi e di quelli che prendono una pensione assistenziale o caratterizzata da versamenti insufficienti dei contributi.
Mentre le prime dovrebbero essere con i conti a posto, i secondi dovrebbero essere pagate attraverso la tassazione dei redditi maggiori per non appesantire il fardello sui redditi da lavoro più poveri.
Comunque dal mio punto di osservazione vedo purtroppo due Italie, o tre Italie, una del Sud, assolutamente inefficiente e araffona, come che le risorse siano infinite “tanto pagano sempre quelli del Nord”, un’Italia del Nord più efficiente e capace di stare al passo con le migliori nazioni, ma incapace di essere guida per il paese e contagiare anche l’inefficiente sud. Anzi spesso l’inefficiente sud a contagiato il Nord – vedi ad esempio infiltrazini della N’dragetta a Milano e la corruzione nell’amministrazione Lombarda – da questo punto di vista la Lega è stato un vero e proprio falllimento, ha governato per quasi un ventennio e non ha spostato di un millimetro l’efficienza del sistema italiano, non ha prodotto il federalisimo fiscale, forse metodo per resposabilizzare e interessare direttamente i cittadini alla spesa pubblica, anzi è stata la portatrice del nepostismo e del favoritismo, tutto ciò che si contesta al sud.
La terza Italia riguarda i politici, ancora attaccati alla poltrona ed ai loro privilegi nonostante la nave stia affondando che falle enormi. Ancora a parlare delle loro questione inutili finalizzate solo a conquistare qualche voto, per mantenere i loro privelige, e che l’Italia vada a farsi benedire. Gente con non vive più in Italia, inteso come paese di uomini che lavorano per un mondo migliore per le generazioni future.
Comunque, se ho capito bene e siete giovani imprenditori ben organizzati, partendo da presupposto che il modo di ragionare di una nazione di costruisce e non è spontaneo, vi consiglio di iniziare a creare gruppi di riflessione sparsi in Italia dove si insegni alle gente come ragionare, quali domanda giuste fare, e quali domande si devono porre agli amministratori e come contribuire a migliorare il sistema italia scoprendo le inefficienti e mettendo in atto azioni virtuose.