Il male che attanaglia l’Italia è sempre più oscuro e sempre più complessa appare la sua estirpazione. Il male che oggi più che mai affligge la nostra tanto amata nazione ha più nomi: corruzione, illegalità diffusa, delinquenza, malavita organizzata, mafia, camorra, ’ndrangheta e si potrebbe continuare ancora.
La capillarità con la quale la malattia criminale si diffonde e pervade tutti gli ambienti : dall’imprenditoria, alla politica alla società civile, pone interrogativi inquietanti sul ruolo che i giovani possono avere per la costruzione di una classe dirigente fondata sul rispetto dei valori ed una moralità ineccepibile, soprattutto se e quando gli interessi rappresentati sono plurimi e quindi collettivi. Ma partiamo dai dati. Evidenze scientifiche aggregate testimoniano che vi è una correlazione positiva tra il controllo della corruzione ed il PIL pro capite. Più in particolare è stato osservato che in quei paese, dove l’indicatore è disponibile, un maggiore tasso di corruzione deprime gli investimenti e quindi lo sviluppo. La stessa relazione si osserva sui dati regionali all’interno dell’Italia, suggerendo che la corruzione sia uno dei fattori che contribuisce a spiegare i divari di sviluppo.
Sebbene non vi siano analisi empiriche relative ai nessi causali, la letteratura economica e giuridica suggerisce che alcuni elementi siano particolarmente rilevanti nel caso italiano.
Tra questi, in particolare, la presenza di elevata criminalità organizzata. Le organizzazioni criminali sono i freni più grandi allo sviluppo di un paese, il nostro paese, ed il radicamento di tali strutture è così forte da alterare oramai gli equilibri economici dell’intero territorio italiano. Un tempo, infatti, il fatto che il fenomeno criminale fosse circoscritto ad un’area particolare del paese ne favoriva la delimitazione del perimetro di azione, oggi la diffusione a macchia d’olio e l’estensione in tutti i territori italiani ha creato un mostro di dimensioni gigantesche il cui contrasto è di fatto assai complesso. Tuttavia non è pensabile tirarsi indietro e proprio dai giovani deve venire una ventata forte di iniziativa, coraggio e ambizione.
E’ per questo che recentemente abbiamo promosso, come giovani Confapi, un’iniziativa rivoluzionaria, una partita aperta tutta da giocare con l’intento di coinvolgere, sull’intero territorio nazionale quanti più imprenditori possibile.
A riguardo avevamo osservato che nella relazione del Commissario straordinario per i beni confiscati del dicembre 2009 solo l’11% delle aziende confiscate era stato destinato alla vendita o all’affitto. Il restante 89% era andato in liquidazione (1 azienda su 3 risulta già in liquidazione o tecnicamente fallita prima della confisca definitiva). Le conseguenze sono complesse non solo per l’indotto economico che l’azienda genera, che non è detto sia criminoso come chi l’ha posseduta, bensì per la perdita di occupazione derivante.
L’Agenzia Nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, istituita con il decreto legge 4 febbraio 2010 n.4 convertito con la legge 31 marzo 2010 n. 50, in data 1 novembre 2010, cui è demandata l’attività di gestione delle aziende confiscate, ha reso noto che risultano definitivamente confiscate 1365 aziende.
Una volta acquisito il dato abbiamo cercato di valutare quale potesse essere una strada percorribile, per evitare che un’attività economica morisse e così il suo indotto e l’occupazione generata. E’ nata quindi la sfida: “diamo ai giovani le aziende della Mafia”.
La provocazione consiste nella possibilità di affiancare agli amministratori giudiziari delle aziende, nominati dai giudici, gli imprenditori con lo scopo di integrare le competenze professionali degli esperti contabili con quelle inerenti la gestione manageriale dell’azienda e quindi del business. Riteniamo plausibile, infatti, asserire che la mancanza di competenze manageriali sia la principale causa di mortalità di dette aziende e la responsabilità sociale che queste realtà generano deve essere considerata e perseguita con la collaborazione di tutti.
L’iniziativa, è stata presentata il 3 marzo al Ministro Maroni e da lui abbiamo colto il suggerimento di procedere con una prima sperimentazione, probabilmente in Campania, cosi da riuscire a creare un modello che se funziona possa essere poi esportato un po’ ovunque.
La grande sfida all’ordine del giorno è di partecipare al progresso e allo sviluppo economico pensando che solo lavorando assieme e assumendosi, ciascuno, un piccolo pezzo di responsabilità, è possibile superare le difficoltà e contrastare corruzione, malaffare che generano degrado e arretratezza economica. Il Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, in più occasioni ha richiamato l’importanza di contrastare i fenomeni criminali ponendo l’accento sulla capacità della malavita di infiltrarsi un po’ ovunque, e aggiungo, anche nei ranghi più elevati della società muovendosi spesso indisturbata e libera sotto gli occhi indifferenti di noi tutti. Una grande riscossa va promossa e deve partire dai giovani che con occhi diversi, e forse con ideali nuovi possono favorire quel ricambio necessario alle condizioni di un nuovo e sano sviluppo economico.
Valentina Sanfelice di Bagnoli
Presidente Giovani Imprenditori di Confapi

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