La sicurezza dei passeggeri è uno degli argomenti centrali nel settore del trasporto aereo. L’abbattimento di un aeroplano rappresenta il mezzo più clamoroso con cui un’organizzazione eversiva può colpire il proprio nemico, che esso sia rappresentato da uno Stato, da una religione, da una classe sociale, o dal mondo occidentale in blocco. Come ben sappiamo dall’11 Settembre 2001, e ancora prima da Lockerbie, nessuna singola azione ostile è in grado di causare un senso di vulnerabilità più alto di un attacco terroristico contro aerei di linea; l’economia stessa di una nazione può essere messa in ginocchio da un grave attentato. Che la minaccia terroristica sia ben lungi dall’essere annientata ce lo ricordano le lunghe file ai varchi di controllo ogni volta che prendiamo un aereo; né d’altra parte può essere dimenticato il clamoroso “attentato di Natale” di un anno fa nei cieli di Detroit: in quell’occasione, solo l’imperizia del giovane attentatore suicida, Oumar Farouk Abdulmutallab, evitò che l’ordigno che egli nascondeva sul proprio corpo deflagrasse in volo abbattendo il velivolo. I recenti fatti di cronaca legati alla spedizione transoceanica di pacchi-bomba provenienti dallo Yemen dimostrano quanta perizia tecnica stiano raggiungendo i terroristi nella preparazione di ordigni esplosivi sempre più elusivi per i controlli di sicurezza; accanto all’indispensabile azione preventiva ed investigativa, è necessario uno sforzo congiunto da parte del panorama scientifico europeo per trovare soluzioni tecnologiche in grado di contrastare efficacemente questa minaccia.
La ricerca europea in ambito security
L’Unione Europea pone fra le proprie priorità fondamentali “la salvaguardia dei valori della società aperta, tra cui il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, affrontando nel contempo le minacce alla sicurezza, che sono aumentate e si sono diversificate. La sicurezza interna ed esterna sono diventate sempre più inscindibili e, per affrontarle, è necessario utilizzare tecnologie moderne, che destano preoccupazioni tra i cittadini.”
In queste poche righe, tratte dal sito ufficiale dell’Unione (sezione “Ricerca e sviluppo inerenti alla sicurezza”), confermano la centralità della ricerca nel settore della sicurezza aeroportuale: integrare tecnologie all’avanguardia per rispondere a minacce non convenzionali, tenendo conto delle riserve e delle preoccupazioni dell’opinione pubblica e senza ledere i diritti fondamentali dei passeggeri ispezionati – primi fra tutti il diritto alla salute ed alla privacy.
Nel corso degli anni 2007 – 2013, l’Unione Europea ha stanziato fondi per oltre 1.4 miliardi di euro per finanziare progetti di ricerca sull’argomento sicurezza, cui si aggiungono gli investimenti che le singole imprese mettono in campo per sviluppare tecnologie innovative finalizzate alla realizzazione di nuovi prodotti.
TERAEYE
Anche grazie alle risorse stanziate dall’Unione Europea nell’ambito del Sesto Programma Quadro, l’italiana C. Engineering ha potuto porsi come capofila di un progetto di collaborazione tra centri di ricerca d’eccellenza a livello europeo, market leader industriali e piccole imprese di nicchia ad alto valore aggiunto, che mira a farsi portatore di una radicale innovazione nel campo della sensoristica per la sicurezza aeroportuale.
TERAEYE è un progetto di ricerca avente l’obiettivo di realizzare un sistema completamente passivo per la detezione e il riconoscimento di materiali mediante spettroscopia Terahertz, con particolare riguardo alla rivelazione di materiali esplosivi e sostanze illecite occultati dai passeggeri al di sotto dei propri abiti. L’applicazione primaria, quella per cui il sistema è stato progettato, è in ambito aeroportuale, ma la versatilità del sistema rende possibile il suo adattamento a differenti applicazioni nell’ambito dei controlli di sicurezza.
Le onde Terahertz
Il range di frequenze Terahertz (THz), situato tra l’infrarosso e le microonde, è particolarmente interessante per scopi di identificazione di materiali nascosti: in primo luogo, in questo intervallo di frequenze si trovano i picchi caratteristici di emissione di un gran numero di sostanze d’interesse; inoltre la radiazione THz, a differenza dello spettro visibile, è in grado di penetrare attraverso i materiali non metallici, non polari e non acquosi, inclusi vestiti, plastica, carta, cartone; infine, la luce THz è una radiazione a bassa energia (tre ordini di grandezza inferiore ai raggi X), pertanto il suo utilizzo non presenta alcun rischio per la salute di passeggeri ed operatori.
Ciò che ha finora frenato lo sviluppo di tecnologie incentrate su queste frequenze è l’attuale scarsità di rivelatori sensibili in questo range: uno dei maggiori risultati tecnologici legati al progetto è la realizzazione di innovativi sensori THz basati sulla tecnologia Quantum Dot. La sensibilità dei detector è tale da permettere un funzionamento completamente passivo del sistema: a differenza dei body scanner in via di adozione nei principali aeroporti, TERAEYE non prevede l’irradiazione dei soggetti ispezionati con alcun tipo di radiazione; ad essere misurato è lo spettro della radiazione emessa spontaneamente da ogni oggetto secondo la ben nota emissione di corpo nero (dipendente dalla temperatura) cui si sovrappongono le linee spettrali tipiche di ogni materiale (dipendenti dalla sua struttura molecolare). Questa caratteristica garantisce l’assenza di qualsivoglia impatto sulla salute delle persone “osservate” e dunque permette di superare le barriere legislative esistenti e le perplessità dell’opinione pubblica, due fattori che hanno finora rallentato la penetrazione dei body scanner nel mercato europeo ed italiano in particolare. Per quanto riguarda la seconda grande preoccupazione dell’opinione pubblica, ossia la possibile violazione della privacy connessa con le tecniche di ispezione visuale, TERAEYE non rivela dettagli del corpo umano: ciò che l’operatore visualizza non è direttamente l’immagine Terahertz, bensì un’immagine visuale ripresa da telecamere convenzionali, con sovrapposta in falsi colori un’immagine postprocessata delle aree corrispondenti a possibili concentrazioni di materiali sospetti.
La fisica di TERAEYE
L’identificazione dello spettro di emissione dei materiali avviene tramite un sensore, unico nel suo genere in Europa, basato sulla tecnologia Quantum Dot. Un Quantum Dot, o QD, è un’eterostruttura di dimensioni micrometriche, formata da due materiali semiconduttori in cui uno dei due, avente una banda proibita ben definita e dimensioni comparabili alla lunghezza d’onda della radiazione incidente, è incluso all’interno del secondo avente banda proibita più larga; nel caso di TERAEYE, la composizione è GaAs/AlXGaX-1As. Una struttura di questo tipo ha l’effetto di generare un pozzo di potenziale tridimensionale che confina i portatori di carica, elettroni e lacune, in una regione di spazio tanto piccola da rendere discreti i livelli energetici permessi: elettroni e lacune all’interno del QD acquisiscono un comportamento molto simile a quello degli elettroni attorno al nucleo di un atomo, ciò che ha guadagnato al QD il nomignolo di “atomi artificiali”. Proprio sfruttando questa somiglianza diventa possibile concepire l’utilizzo di un QD per assorbire o rilasciare pacchetti quantizzati di energia, sotto forma di radiazione luminosa di frequenza definita.
Più nel dettaglio, l’assorbimento di un fotone di frequenza opportuna causa l’eccitazione di un numero finito, nel caso di TERAEYE intorno al centinaio, di elettroni all’interno del QD; questi posseggono quindi energia sufficiente ad oltrepassare la barriera di potenziale, opportunamente ingegnerizzata, che separa il QD vero e proprio dal gas bidimensionale di elettroni non confinati presente nel substrato (two-dimensional electron gas, o 2DEG); in questo modo, il QD si ritrova per breve tempo spogliato di parte della sua carica elettrica; ad essere misurata è proprio questa variazione della carica. Dopo un tempo caratteristico, inferiore al microsecondo, gli elettroni del “bagno” di gas bidimensionale andranno a ripopolare il QD riportandolo allo stato di equilibrio iniziale.
Figura 1: a) vista di un sensore al microscopio elettronico;
Fig. 1: b) meccanismo di misura
Ogni QD possiede quindi una frequenza caratteristica di assorbimento, legata alle sue dimensioni; costruendo una matrice di sensori, ognuno di dimensione diversa, è possibile ottenere un campionamento su diverse frequenze e quindi un sensore spettroscopico. In TERAEYE, ogni sensore spettroscopico è formato da 8 QD, dunque il campionamento avviene su 8 frequenze. Costruendo una matrice di sensori è possibile coprire un campo visivo bidimensionale.
Il sensore, vero e proprio “cuore” tecnologico del sistema, è stato sviluppato da un pool di centri di ricerca d’eccellenza disseminati in tutta Europa: la Royal Holloway University e il National Physics Laboratory di Londra, insieme alla Chalmers University di Goteborg, si sono occupati della progettazione e realizzazione del Quantum Dot, mentre il Centro Nazionale Finlandese di Ricerca Tecnologica di Espoo e il Dipartimento di Fisica dell’Università di Genova hanno sviluppato l’elettronica di controllo.
Il sistema TERAEYE
Il solo sensore Quantum Dot, per quanto tecnologicamente avanzato, troverebbe scarsa utilità pratica se non fosse inserito in un sistema complessivo. TERAEYE ha sviluppato un sistema completo e stand-alone per l’ispezione ed il controllo, completo di elettronica di acquisizione, amplificazione e controllo del segnale in multiplexing, moduli software di data processing per la ricostruzione degli spettri campionati ed il riconoscimento dei materiali, ed ovviamente un’interfaccia utente che consenta il pieno controllo del sistema.
Figura 2: interfaccia utente (render del campo visivo: ad ogni sensore spettroscopico corrisponde un pixel)
Per ridurre al minimo il rumore termico e sfruttare le proprietà superconduttive di alcuni componenti, i sensori ed il primo stadio dell’elettronica sono racchiusi in un criostato di nuova generazione, sviluppato nell’ambito del progetto dalla piccola impresa tedesca Vericold, di dimensioni compatte, utilizzo completamente automatizzato e stabilità in temperatura superiore alle 24 ore senza ricalibrazioni. Soprattutto, il criostato consente di raggiungere la temperatura di esercizio, tra 1 e 2 gradi Kelvin (prossima allo zero assoluto, a – 273° C), senza l’utilizzo di fluidi refrigeranti (azoto ed elio liquidi), dunque non richiede ingombranti e costosi circuiti di recupero dei fluidi e non presenta problemi ad essere installato anche in aree affollate. Il criostato è equipaggiato con una finestra a tenuta di vuoto, disegnata dall’Università della Savoia, che agisce come filtro, tagliando la radiazione termica e visibile e lasciando che solo le frequenze THz raggiungano i sensori.
Figura 3: a) Schema del sistema ottico e criogenico
fig. 3 : b) il primo prototipo operativo
Le dimensioni d’ingombro del sistema non superano il metro di lunghezza per 40 cm di diametro, per un peso di circa 30 kg; il software di controllo può essere installato su qualsiasi computer, anche in remoto.
Risultati sperimentali e prospettive future
Il progetto, iniziato nel 2007, si avvia a concludersi nel giugno 2011; pertanto, in questi mesi sta attraversando la fase cruciale di integrazione del sistema e test sperimentali.
L’Accademia Tecnologica Militare di Varsavia ha acquisito con successo con metodi convenzionali gli spettri THz dei più diffusi esplosivi e di numerosi materiali innocui (tessuti, pelle, plastica), che sono andati a popolare il database di materiali del modulo di riconoscimento.
Figura 4: Spettro di un esplosivo
La Royal Holloway University e l’Università di Genova hanno concluso un primo set di test su singoli QD, dimostrando la sensibilità alla radiazione luminosa e l’eccellente figura di rumore dell’elettronica di controllo.
I primi test di imaging sono stati conclusi con successo alla Royal Holloway University: nella figura seguente, l’immagine di una foglia d’edera catturata con un singolo sensore.
Figura 5: Imaging di una foglia d’edera
L’integrazione del prototipo finale è prevista per dicembre 2010; i test di validazione sono in programma lungo l’arco dei primi sei mesi del 2011.
Alla luce degli incoraggianti risultati sperimentali ottenuti, le aziende coinvolte stanno valutando le diverse alternative possibili per proseguire lo sviluppo e l’ottimizzazione del sistema nell’ottica di una prossima commercializzazione; Gilardoni – leader in Italia ed in Europa nella fornitura di sistemi per la sicurezza aeroportuale e partner del progetto – sta mettendo a punto insieme a C.Engineering un piano per l’industrializzazione del sistema, con un potenziale time-to-market stimato in circa 3 anni.
Samuele Ambrosetti, Valeria Ferrando e Valerio Pagnotta

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