Parliamo di Reti d’Impresa. Avvertendo subito che non si tratta dell’ennesima ricetta miracolosa per salvare la disastrata economia del nostro Paese, né dell’ennesimo tentativo di fuga nelle teorie, utili, per qualcuno, a nascondere la testa sotto la sabbia della crisi. Diciamo piuttosto che si tratta di un percorso che, se seguito da tutti i suoi attori con la dovuta attenzione e con un pizzico di coraggio e di fantasia davvero innovativa, può indicare al nostro sistema industriale, e produttivo più in generale, una strada nuova per la crescita.
Di Reti d’Impresa si parla ormai da anni. Si parla e si fa pochino, a differenza di altri Paesi europei, come ad esempio la sempre più citata Germania, dove le Reti d’Impresa sono da tempo una realtà consolidata ed efficiente. Comunque, vediamo.
A livello normativo, va innanzitutto ricordato il cosiddetto “Decreto Incentivi”, convertito nella legge n. 33 del 9 aprile 2009, che ha introdotto in Italia la disciplina del Contratto di Rete. Con questo contratto le PMI che decidono di partecipare a una “Rete” danno vita, con un vero e proprio “contratto” a collaborazioni in campo tecnologico, produttivo, logistico e commerciale con altre aziende, generalmente appartenenti alla stessa filiera produttiva, ottimizzando i costi e le economie di scala, acquisendo maggiore forza contrattuale nei confronti della clientela e dei fornitori e potendo contare su agevolazioni di tipo amministrativo, fiscale, finanziario e per ricerca e sviluppo.
Il successivo “Decreto Sviluppo”, convertito nella legge n. 99 del 23 luglio 2009 ha poi introdotto una serie di modifiche e integrazioni riguardanti l’operatività delle Reti d’Impresa, anche e soprattutto sulle caratteristiche del Contratto di Rete.
In questo senso le Reti d’Impresa possono essere interpretate, grossomodo, come una evoluzione dei distretti produttivi, ai quali li lega la possibilità, legislativamente normata, di avviare procedimenti amministrativi, stipulare convenzioni e contratti, il tutto con un unico procedimento collettivo. Pensiamo, tanto per fare un esempio, all’importanza di questo passaggio per il delicato tema dei rapporti tra l’impresa e il sistema bancario e creditizio. Significativamente, il Governo Monti ha ripreso la tematica delle Reti d’Impresa all’interno della cosiddetta Agenda per la Crescita sostenibile, approvando un pacchetto di misure urgenti di tipo strutturale, all’interno del quale sono contenute nuove disposizioni che consentono una ulteriore semplificazione delle modalità di iscrizione al registro delle Imprese dei Contratti di Rete, attivabili ora anche attraverso la firma digitale, nonché la possibilità per le PMI che sottoscrivono un Contratto di Rete di beneficiare degli stessi contributi previsti per i Consorzi per l’Internazionalizzazione. Infine l’Agenzia delle Entrate, ai sensi della legge n. 122 del 30 luglio 2010, ha recentemente emanato disposizioni in termini di credito d’imposta per le imprese appartenenti alle Reti a valere sul periodo d’imposta dell’esercizio 2011.Alla data del 23 maggio di quest’anno, sono stati realizzati dalle imprese appartenenti alle Reti risparmi d’imposta per complessivi 16 milioni di Euro. Fin qui la normativa.Vediamo ora il panorama. A tutt’oggi esistono in Italia circa 130 Reti d’Impresa regolate da Contratti di Rete. Siamo appena all’inizio, ma qualcosa si è mosso.
Ma funzionano queste Reti? Vi sono problemi? E quali?
Inquadriamo come sempre il problema nella cornice di carattere generale del nostro sistema economico e produttivo. Com’è noto il sistema produttivo italiano è caratterizzato da una bassissima crescita: circa il 2 per cento negli ultimi 10 anni (vale a dire una media dello 0,2 per cento all’anno, praticamente quasi una stasi); inoltre da una bassissima competitività: secondo il prestigiosoWorld Economic Forum l’Italia, che non dimentichiamolo fa parte del cosiddetto “G8”, è al quarantatreesimo posto nella classifica della competitività dei sistemi industriali.
Un disastro, se si tiene conto che l’Italia ha un prodotto unanimemente riconosciuto come ricco e complesso, e vanta imprenditori eccellenti, tra i migliori al mondo.
Quello che non funziona allora è il “sistema”. Le cause del mancato funzionamento del sistema sono note: carenza di infrastrutture, burocrazia opprimente, vespaio legislativo, costo del lavoro altissimo a fronte di basse retribuzioni, infiltrazioni della malavita organizzata. Ma un’altra causa è la dimensione delle nostre imprese: su 4 milioni e 400 mila imprese italiane, oltre 4 milioni e 200 mila hanno meno di 10 dipendenti.
Siamo un Paese di imprese piccole e piccolissime. Le piccole imprese, naturalmente, non controllano tutte le fasi del prodotto: operano chi nella produzione primaria, chi nella trasformazione del prodotto, chi nella distribuzione, e così via. Gran parte di esse finisce così per legarsi a una catena di subfornitura, dipendente dalle
grandi imprese, mentre un’altra parte ricerca una connessione con altre piccole imprese operanti in altri anelli della catena del valore. Ma si tratta di una connessione obbligata, quasi “forzata”, che crea relazioni, interfacce occasionali, non strategiche. In più, il gran numero di piccole imprese, sempre più numerose e sempre più piccole, aumenta in modo esponenziale la rete delle relazioni, complica la gestione delle interfacce, complica la vita insomma.
Le soluzioni possibili sono sinteticamente tre:
1) la crescita dimensionale delle piccole imprese, questione annosa e legata a fattori individuali, tanto più di difficile approccio in un momento di crisi economica generalizzata come questo;
2) il meccanismo di fusioni e acquisizioni, poco connaturato alla mentalità imprenditoriale italiana, che infatti ha dato scarsissimi risultati nel nostro Paese;
3) lo stabilirsi di integrazioni funzionali tra le piccole imprese: ed ecco le Reti.
Il concetto fondamentale che sta alla base del processo di costruzione della Rete d’Impresa, correttamente concepita, è quello dello stabilirsi di relazioni di collaborazione strategica, non occasionale, non determinata dalla mera necessità di uno scambio di “risorse”,ma ispirata dalla volontà consapevole di costruire accordi strategici di collaborazione in un orizzonte temporale lungo. Insomma, la Rete deve essere concepita e deve funzionare come se fosse un’unica impresa, di dimensioni maggiori.
Un vero e proprio salto culturale, che presuppone l’abbandono sia della visione limitante della semplice “filiera” produttiva, sia quella alienante della catena di subfornitura. Nella Rete, il piccolo imprenditore deve consapevolmente rinunciare a un piccolo – ma culturalmente e psicologicamente non insignificante – pezzetto della sua individualità, per concorrere a un progetto comune basato su una precisa strategia di ampio respiro.
Da questo punto di vista, anche i semplici incentivi economici sembrano insufficienti a superare la barriera costituita dal gap culturale del nostro sistema produttivo.
Un recente dibattito, sviluppatosi in un interessante forum su www.retidimprese.it (alla visione del quale rimandiamo i lettori) ha evidenziato tre fattori fondamentali per avviare virtuosamente il processo di sviluppo delle Reti d’Impresa: la leggerezza, la pariteticità, il sistema delle regole.
Leggerezza. Gli accordi che stanno alla base dei Contratti di Rete devono essere caratterizzati da flessibilità e progressività: sbagliato, ad esempio, stabilire l’obbligatorietà dell’acquisto delle risorse tra partner; è più prudente sancirne, almeno inizialmente, l’”opportunità”, poi, se il meccanismo funziona, si possono stringere accordi più solidi senza che tale solidità venga vissuta come una limitazione del processo decisionale del singolo. Insomma, il Contratto di Rete deve essere costruito come una sorta di “fidanzamento” tra imprese: se si verifica sul campo l’armonia tra i partner, poi si potrà passare a un vero e proprio matrimonio.
Pariteticità. La “leggerezza” nei Contratti ha in sé un difetto: costringe a una continua trattativa, verifica, discussione tra i partner. Le regole leggere non sono soffocanti ma necessitano di mediazione.Quindi, anche per evitare di innescare meccanismi conflittuali, è necessario stabilire la pariteticità tra i partner.
Un sistema fondamentalmente “democratico” nella catena decisionale, che però necessita – e non è una contraddizione – di un momento forte di coordinamento: il Manager di Rete, figura sulla quale torneremo nelle conclusioni di questo ragionamento.
Regole. È il punto nodale. Leggere e flessibili finché si vuole, le regole di collaborazione devono comunque essere definite e condivise da tutti gli attori che decidono di entrare in “Rete”. E soprattutto, le “regole” devono essere “convenienti”: i vantaggi che comportano devono essere evidenti, palesi, le regole devono essere costruite con l’obiettivo di portare a tutti i partner benefici maggiori dei costi. Insomma, attraverso le regole del gioco i protagonisti della Rete devono poter raggiungere lo scopo principale che sta alla base di tutto questo: aumentare i profitti.
La stesura di queste regole è cosa complessa: si tratta di dettare norme chiare e inequivocabili su temi quali, ad esempio, i contratti multilaterali di approvvigionamento delle risorse, l’ottimizzazione dei flussi di produzione e dei flussi logistici, la standardizzazione tipologica delle risorse, le linee guida per l’innovazione del prodotto, tutti elementi che costituiscono in buona sostanza le declinazioni operative del Piano strategico della Rete. C’è materia pesante sulla quale cimentarsi, chiamando in causa professionisti del project managing (ed ecco qui i costi) e i già citati Manager di Rete.
Da questo punto di vista, sorge allora spontaneo l’aggancio con il tema della formazione: anche attraverso il finanziamento garantito dal Fondo Fapi, il Fondo interprofessionale della Confapi per la formazione continua nelle Piccole e medie imprese, è possibile ipotizzare la progettazione e lo svolgimento di corsi di alta formazione volti a creare e diffondere la figura del Manager di Rete, proprio partendo dalle esperienze, già maturate da tempo, del Project Management. Il Manager di Rete è una figura che, oltre alle conoscenze basilari del project managing e alle necessarie competenze tecniche relative al settore nel quale intende collocarsi, deve possedere spiccate doti di attitudine al coordinamento e alla mediazione: il suo compito, non facile, sarà quello di coordinare soggetti che non dipendono direttamente da lui, bensì dalle loro aziende di riferimento, ma che a lui devono comunque accettare di sottoporsi in nome del rispetto, per l’appunto, delle regole che reggono il Contratto di Rete. Comandare senza prevaricare, essere autorevole e autoritativo senza essere autoritario: una bella sfida. Un’ultima annotazione, tanto per sgomberare il campo da facili entusiasmi. La Rete d’Impresa, per sua stessa natura, può funzionare con successo solo in un sistema fortemente orientato all’ICT. E dal punto di vista della diffusione della cultura dell’ICT dobbiamo riconoscere che l’Italia è ancora parecchio indietro: l’insufficiente accesso alla banda larga, la scarsa propensione all’e-commerce e all’economia digitale in genere, la limitata divulgazione di servizi online da parte della Pubblica Amministrazione, le carenze normative, sono altrettanti scogli contro i quali la navigazione delle Reti rischia di incappare. Si tratta di una sfida che coinvolge dunque l’intero sistema, pubblico e privato.Ma una sfida che crediamo importante tentare di cogliere, per dare al nostro sistema una nuova prospettiva di crescita.
Giorgio Tamaro
Direttore FAPI

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