Dieci anni orsono il Governo ha introdotto – in modo quasi rivoluzionario – il principio secondo cui “societas delinqueri potest”, introducendo una nuova forma di responsabilità mista (penale-amministrativa) per le imprese, e ciò per reati commessi nel loro interesse. La norma di legge, sostanzialmente poco considerata negli anni immediatamente successivi alla sua emanazione, pur prevedendo la sanzionabilità di tali soggetti giuridici sia in via cautelare sia in via definitiva, ha ripreso nuovo vigore con l’introduzione degli obblighi di prevenzione in materia di sicurezza sul lavoro tra i reati che le aziende devono prevenire attraverso l’adozione, l’attuazione ed il costante aggiornamento di modelli organizzativi idonei a prevenire i reati contemplati dal suddetto Decreto. Rispetto al dato normativo iniziale, oggi le aziende devono garantire comportamenti virtuosi, strutturati ed organizzati, per prevenire anche i reati in materia di sicurezza dei lavoratori poiché, in mancanza di adeguati modelli di organizzazione, gestione e controllo a ciò finalizzati, possono essere destinatarie di pesanti sanzioni, sia cautelari che definitive, suddivise in sanzioni amministrative ed interdittive. Le prime vanno dalla condanna ad una pena pecuniaria (che può arrivare sino a €.1.500.000,00.=), all’applicazione di una sanzione interdittiva, sino alla confisca di considerevoli somme di danaro. Tra le sanzioni interdittive (applicabili sin da subito come misure cautelari provvisorie) figurano l’interdizione dall’esercizio dell’attività, la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni, il divieto di contrattare con la Pubblica amministrazione, l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi ed il divieto di pubblicizzare beni o servizi, con durata variabile da tre mesi a due anni.
Il quadro giurisprudenziale attuale, a dieci anni dall’entrata in vigore (ed in seguito al costante aggiornamento del dato normativo), ha fissato alcuni capisaldi che pare opportuno ricordare per brevissimi cenni:
Le previsioni del D. Lgs. 231/01 si applicano anche alle imprese individuali.
Con una recentissima sentenza, la Corte di Cassazione (Sez. III Pen., n. 15657 del 20 aprile 2011) ha affermato che l’attività riconducibile all’impresa (al pari di quella riconducibile alla ditta individuale propriamente detta) deve intendersi come l’attività svolta dall’imprenditore-persona fisica per la cui definizione deve farsi rinvio agli artt. 2082 e 2083 del c.c.. In forza di tale considerazione la Corte ha ritenuto che la disciplina dettata dal D. L.vo 231/01 sia senz’altro applicabile alle società a responsabilità limitata c.c. “unipersonali”, così come alle molte imprese individuali che spesso ricorrono ad una organizzazione interna complessa, anche a prescindere dal sistematico intervento del titolare della impresa per la soluzione di determinate problematiche, tanto da involgere la responsabilità di soggetti diversi dall’imprenditore ma che operano nell’interesse della stessa impresa individuale.
Le recenti decisioni in materia di Sicurezza sul lavoro
Quanto alla sicurezza sul lavoro, tema privilegiato ed esclusivo di questo periodico, numerose sentenze di merito affermano che le sanzioni da D. Lgs. 231/01 siano applicabili in caso di condotta (attiva ed omissiva) dell’imprenditore tenuta nell’interesse della propria azienda; in sostanza in caso di mancata adozione dei modelli di cui sopra per la prevenzione dei rischi in favore dei lavoratori, si verte nel caso del classico reato colposo commesso da un datore di lavoro indifferente (o, comunque, non sufficientemente attento) alla tutela delle condizioni di lavoro dei propri dipendenti. Ove ciò accada, non ricorrono le condizioni di esonero da responsabilità (ex art. 6 d.lgs. 231/2001) in mancanza di un modello organizzativo idoneo a prevenire reati come quello di cui sopra, nemmeno dopo l’infortunio.
Il Tribunale di Pinerolo, con sentenza del 23 settembre 2010, Dr. Reynaud, – per la mancanza di detto modello organizzativo – ha applicato una sanzione pecuniaria, (ex art. 10, 2° co. – art. 25 septies, 3° co. d. lgs. 231/011) di complessivi € 30.000,00.=.
Quanto al presupposto della responsabilità dell’Ente, una interessante sentenza del Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Novara, 1 ottobre 2010, Dr. Pezone, lo ha individuato nella c.d. Colpa di organizzazione per la “[…] omessa predisposizione di un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione del reato presupposto: è il riscontro di tale deficit organizzativo che consente l’imputazione all’ente dell’illecito penale realizzato nel suo ambito operativo […]”. Il Giudice, nel corpo di detta decisione ha inoltre osservato che “[…] L’adozione dei modelli organizzativi costituisce una incoercibile scelta positiva dell’ente di dotarsi di uno strumento organizzativo che, al di là del mero adempimento formale e burocratico, ove preventivamente attuato ed in grado di eliminare o ridurre il rischio di commissione di illeciti da parte della società comporta l’esclusione della responsabilità amministrativa.[…]”. In particolare tale sentenza ha ritenuto che la violazione delle regole cautelari poste a tutela della salute del lavoratore può essere commessa anche per ottenere un risparmio dei costi di gestione.
Ad allargare l’area dei soggetti destinatari della disciplina è inoltre intervenuta la Corte di Cassazione con recente decisione (Sez. II Pen., dep. 10 gennaio 2011, n. 234) con la quale si è stabilito che, “[…]la natura pubblicistica di un ente è condizione necessaria ma non sufficiente per l’esonero dalla disciplina in questione; deve necessariamente essere presente anche la condizione dell’assenza di svolgimento di attività economica da parte dell’ente medesimo.[…]”. Nel caso di specie le sanzioni cautelari sono state applicate a una S.p.A. alla quale erano state trasferite funzioni dall’ente Comune, poiché la rilevanza pubblica delle funzioni svolte non esclude l’applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2001.
Le poche note positive, dall’ elaborazione giurisprudenziale, attengono alla conclamata inammissibilità di costituzione di parte civile per il risarcimento dei danni, in caso di processo ai sensi del D. Lgs. 231/01, secondo la Suprema Corte di Cassazione (Sez. VI pen. n. 2251 del 20 gennaio 2011), mentre circa la possibilità di sottoporre a sequestro e successiva confisca importanti somme di danno, la giurisprudenza è ormai chiarissima – almeno quanto alla determinazione valore sequestrabile e/o confiscabile, sulla base di una importante decisione della Sezioni Unite della Corte di Cassazione (ud. 27 marzo 2008, dep. 2 luglio 2008, n. 26654) che ha espresso il seguente principio di diritto: “[…] il profitto del reato nel sequestro preventivo funzionale alla confisca, disposto – ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 19 e 53 – nei confronti dell’ente collettivo, è costituito dal vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato ed è concretamente determinato al netto dell’effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato, nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente […]”.
In conclusione, risulta quanto mai necessario che anche le piccole e medie imprese si dotino di adeguato modello organizzativo come sistema integrato di sicurezza dell’azienda, dei vertici di essa e dei lavoratori.
Fabrizio Busignani – Andrea Mascetti
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