Lanciata da Cape Canaveral lo scorso 10 febbraio, la sonda Solar Orbiter consentirà, per la prima volta, di studiare il Sole fino a circa un terzo della distanza che divide la Terra dal suo astro e di osservarne le regioni polari da un’orbita al di fuori del piano dell’eclittica.
Fondamentale il contributo italiano per la realizzazione di alcune strumentazioni di bordo necessarie allo scopo. Per saperne di più abbiamo intervistato in esclusiva Silvano Fineschi Direttore dell’INAF (Istituto Nazional d’Astrofisica), Osservatorio Astrofisico di Torino
di Fabio Chiavieri
Lo studio del Sole ha sempre occupato un posto rilevante tra gli interessi degli scienziati di tutto il mondo perché conoscere esattamente cosa accade sulla nostra stella è di fondamentale importanza per capire meglio i fenomeni atmosferici e magnetosferici che coinvolgono la Terra.
Il Sole, che si trova a una distanza perfetta per scaldarci e non bruciarci, per rendere possibile sulla Terra – unico pianeta nel Sistema Solare – la presenza di acqua sotto tutt’e tre le sue forme: di gas, di solido e di liquido, quest’ultima ritenuta la fonte di vita primaria per ciascun pianeta, influenza però con le sue radiazioni e particelle la nostra atmosfera e il nostro clima, ragion per cui ogni fenomeno che avviene su di esso si ripercuote in maniera più o meno severa sulla Terra.
Del Sole già si sanno molte cose, ma l’obiettivo primario della sonda Solar Orbiter, nell’ambito del programma scientifico dell’ESA (European Space Agency) Cosmic Vision 2015-2025, è quello di osservarne le regioni polari da un’orbita al di fuori del piano dell’eclittica. Facile a dirsi meno da capirsi, per cui abbiamo invitato Silvano Fineschi, autorevole esponente della comunità scientifica solare italiana, Direttore dell’INAF (Osservatorio Astrofisico di Torino), a spiegarci meglio cosa significa esattamente e quale rilevanza potranno avere i dati analizzati provenienti da questa nuova missione spaziale.
«Nel momento in cui stiamo parlando (30 marzo 2020, ndr) la Solar Orbiter sta viaggiando verso Venere la cui attrazione gravitazionale servirà alla sonda per entrare nell’orbita solare, ritornare poi verso la terra da cui prenderà un altro “calcio” gravitazionale, fino a rendere la sua orbita sempre più ellittica intorno al sole e con una durata di 6 mesi – due orbite ogni anno. Queste manovre gravitazionali oltre ad avvicinare sempre più la sonda al Sole, le consentiranno di inclinare la propria orbita al di fuori dell’eclittica, il piano su cui orbitano tutti i pianeti e da cui finora si potevano fare le osservazioni sia del Sole che dei pianeti stessi. Questo permetterà per la prima volta a tutta l’umanità di osservare il Sole nei poli».
Cosa ha spinto la scienza a voler studiare il Sole nei suoi due estremi polari?
Uno dei grandi misteri del Sole è come sia possibile che la fotosfera – o superficie “visibile” del Sole – è a una temperatura di circa 6.000 °C mentre la temperatura del plasma coronale, composto da protoni ed elettroni, è più di un milione di gradi centigradi. Ciò non vuol dire che c’è tanto calore. Tanto per intenderci: se uno mettesse una mano in una bottiglia di plasma coronale non si brucerebbe perché la densità è talmente bassa – un atomo per centimetro cubo – che la bottiglia sarebbe praticamente vuota. Per capirci ancora meglio: è la stessa differenza che c’è tra un fiammifero acceso e un termosifone. Il fiammifero ha una temperatura molto elevata ma non scalda, viceversa il termosifone ha una temperatura di molto inferiore ma emette calore.
In ogni caso, come il plasma coronale goda di questa temperatura rimane tuttora un’incognita. L’ipotesi più plausibile formulata finora è che la causa sia dovuta al campo magnetico del Sole. Noi sappiamo che il campo magnetico terrestre è abbastanza stabile, somigliando a una calamita con un polo Nord e uno Sud che si invertono ogni 200-300 mila anni. Lo stesso avviene sul Sole solo che l’inversione dei poli avviene ogni 11 anni, perché il Sole, a differenza della Terra che ha un nucleo ferroso semisolido, ha un nucleo costituito da plasma molto fluido che, a causa delle rotazioni del Sole sul proprio asse, genera delle correnti elettriche che creano un campo magnetico. Inoltre, questo plasma, per smaltire l’energia che si crea al suo interno tramite reazioni termonucleari, genera delle celle di convezione, in altri termini ribolle, trascinandosi dietro il campo magnetico e attorcigliandolo finché, come un elastico, raggiunge una tensione tale che le linee di forza magnetiche con polarità opposta si ri-connettono creando intense correnti elettriche emesse a forte velocità (centinaia di km al secondo) nello spazio interplanetario, le cosiddette tempeste solari. Un altro effetto che si genera è l’accelerazione continua del vento solare che si pensa una delle cause siano micro-riconnessioni del campo magnetico.
Questi fenomeni che effetti hanno sul nostro pianeta e sulle attività umane?
Il punto è proprio questo. Lo studio delle tempeste solari e del vento solare è fondamentale per capire quali sono gli effetti sulla magnetosfera terrestre. C’è una disciplina molto importante riconosciuta sia negli USA sia in Europa che si chiama Meteorologia Spaziale che, in base all’attività del Sole, cerca di prevenire gli effetti sulla magnetosfera della Terra. Un esempio è la generazione di correnti elettriche atmosferiche che possono causare dei black-out delle linee elettriche, oppure il danneggiamento dell’elettronica di satelliti geostazionari che, trovandosi a 36 km di distanza dalla Terra, sono meno protetti dalla sua magnetosfera. O ancora si pensi alle rotte polari che per convenienza economica vengono seguite dagli aerei. Sappiamo che ai poli il campo magnetico aperto lascia penetrare le particelle elettriche dovute all’attività solare – prova ne sono le affascinanti aurore boreali e australi. A circa 10 km di altezza a cui viaggiano gli aere di linea, queste particelle sottopongono equipaggio e passeggeri a una dose di radiazione simile a quella ricevuta duranteuna radiografia, ragion per cui alcune tratte vengono deviate durante le tempeste solari per evitare questa esposizione normalmente protetta dal campo magnetico terrestre.
Per quanto tempo Solar Orbiter rimarrà operativa?
Fino a novembre del 2021 sarà in una fase di crociera e rodaggioe poi rimarrà in funzione per 7 anni più una possibile estensione di altri 3 anni per un totale di una ventina di passaggi attorno al Sole. In realtà, Solar Orbiter si comporta più come una sonda planetaria nel senso che i telescopi a bordo saranno attivi per ogni orbita solo al perielio, ovvero quando la sonda si troverà più vicina al Sole. Quindi i telescopi funzioneranno solo un mese su sei, mentre durante i mesi rimanenti verranno inviati i dati alla Terra. Questa scelta è stata fatta per via delle limitazioni della banda di telemetria.
È la prima volta che viene lanciata nello spazio una sonda progettata per lo studio del Sole?
Gli Americani hanno lanciato nel 2019 la Parker Solar Probe, dove Parker è il nome dello scienziato 90enne, ancora in vita, che fu il primo a ipotizzare negli anni ’50 l’esistenza del vento solare basandosi su considerazioni, poi confermate da osservazioni, di tipo teorico. Questa sonda arriverà a una distanza di “soli” 5,6 milioni di km dalla superficie del Sole disponendo di sola strumentazione “in situ”, cioè che misura i parametri fisici del plasma intorno alla sonda perché qualsiasi telescopio non avrebbe potuto osservare direttamente il Sole a causa dell’altissimo calore a cui sarebbero state esposte le ottiche.
Solar Orbiter, invece, è la prima sonda ad andare vicina al Sole con una batteria di telescopi e, come già detto, al di fuori dal piano dell’eclittica per lo studio dei poli solari.
La realizzazione dei 12 strumenti a bordo della Solar Orbiter immaginiamo avrà richiesto molti sforzi e altrettanti investimenti. Qual è stato il contributo del nostro paese che ha dimostrato ancora una volta di possedere delle eccellenze uniche al mondo?
L’Italia, con l’INAF – con il supporto di ASI (Agenzia Spaziale Italiana) e con contributi da Germania e Repubblica Ceca – è capofila per l’ideazione e realizzazione del coronografo Metis il quale, creando un’eclisse artificiale, studia il plasma dell’atmosfera più esterna sel Solae, la corona, nei suoi componenti fondamentali che sono gli elettroni e protoni e idrogeno. Dal punto di vista scientifico, guidati dall’Osservatorio Astrofisico di Torino hanno collaborato altri Osservatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, quelli di Roma, Napoli, Catania, il CNR di Milano e Padova e le Università di Firenze e Padova. L’effettiva costruzione dello strumento è stata affidata a Thales-Alenia Space Italia e a OHB Italia. Il Coronografo è stato poi messo a punto e calibrato nelle strutture dell’INAF – Osservatorio Astrofisico di Torino ospitate presso ALTEC che sono in grado di simulare le condizioni spaziali e l’illuminazione del Sole.
L’Italia ha anche partecipato, in qualità di “main contractor”, alla realizzazione dello scudo termico della sonda, anch’esso realizzato in Thales-Alenia Space, composto da due pannelli in sequenza rivestiti da uno speciale materiale annerente contenente polvere di ossa di animale. Il primo pannello, che raggiunge una temperatura di 500 °C al perielio, ha il compito di irraggiare il calore nell’intercapedine vuoto che lo separa dal secondo pannello consentendo a a quest’ultimo di rimanere a una temperatura molto più bassa. Tutti gli strumenti vengono invece mantenuti alla temperatura ambiente terrestre di 20 °C. Lo stesso Coronografo ha una configurazione diversa da quella classica per tenere conto di questo carico termico così forte stante la vicinanza al Sole.
Italiana è anche la Data Processing Unit di SWA (Solar Wind Analyzer).
Oltre ai telescopi, Solar Orbiter ha a bordo una serie di sensori “in situ” per l’analisi delle proprietà del plasma attraversato dalla sonda.
Dal punto di vista etico cosa ci insegna l’esplorazione dello Spazio?
Lo studio dello Spazio ci permette di mettere in contesto la nostra posizione nell’Universo. Lo Spazio è immenso ed è vuoto, basti pensare che la stella più vicina alla Terra, a parte il Sole, è a 4 anni luce da noi.
Non dimentichiamo che noi ci siamo evoluti sulla Terra per una serie di concause favorevoli, quali la presenza di un campo magnetico, la giusta distanza dal Sole e la presenza dei mari che hanno assorbito l’anidride carbonica evitando un effetto serra catastrofico come per esempio è avvenuto su Venere. Vedendo quello che invece accade in altri luoghi diversi dalla Terra, grazie alle missioni spaziali, ci fa capire che ci troviamo in un posto meraviglioso che dovremmo curare con maggior rispetto.
Da troppi anni ormai in Italia vengono riservate poche risorse economiche al mondo della Ricerca. Il risultato è che molti dei nostri migliori scienziati sono costretti a lavorare all’estero. Il momento drammatico che stiamo vivendo a causa del Coronavirus ha accentuato ulteriormente il problema.
Quello che vedo, avendo lavorato per lunghi anni anche negli Stati Uniti, è che gli scienziati italiani fanno una carriera folgorante all’estero, segno che il nostro livello di istruzione universitaria è ancora elevatissimo e tra i più apprezzati al mondo. In Italia, quindi, il vero problema è la limitazione di mezzi perché investiamo solamente l’1% del nostro PIL nella Ricerca scientifica contro il 2-3% di Francia e Germania.
L’Industria e la Ricerca italiane non hanno avuto alcun problema ad affrontare le sfide tecnologiche per la realizzazione di alcuni parti fondamentali della Solar Orbiter grazie ai finanziamenti pubblici messi a disposizione dall’ASI che, ricordo, vengono erogati solo a seguito della vincita di bandi di concorso estremamente competitivi prima a livello europeo e poi nazionale.
A proposito dell’emergenza Coronavirus, per esempio, il Ministero dell’Università e della Ricerca ha emesso un bando lampo il 25 di marzo con scadenza 28 marzo per tutti gli enti di Ricerca, tra cui anche l’INAF, per proporre metodologie e tecniche sviluppate nell’ambito del proprio lavoro utili alla lotta contro il virus.
E questo mette in evidenza due fattori: il primo è la forza trasversale del mondo della Ricerca scientifica; il secondo è che se si vogliono raggiungere certi risultati occorre alleggerire l’aspetto burocratico.
Silvano Fineschi – Un uomo e il Sole
Silvano Fineschi ha studiato la nostra stella più vicina, il Sole, per più di trent’anni. Dal 2018, dirige l’Osservatorio Astrofisico di Torino dell’Istituto Nazionale d’Astrofisica. Ha svolto in precedenza la sua ricerca anche in centri NASA e presso l’Università di Harvard interessandosi soprattutto allo sviluppo di strumenti per l’osservazione del Sole e all’analisi dei dati ottenuti. Ha partecipato e organizzato a diverse campagne scientifiche per l’osservazione della corona durante eclissi di Sole. Questi eventi naturali permettono di osservare a occhio nudo la corona solare in tutta la sua maestosa bellezza.
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