Ci stiamo ormai abituando a vedere robot giardinieri, robot che puliscono casa, robot che spostano carichi, che lavorano in agricoltura, edilizia, in superficie o sott’acqua.
DI CRISTINA GUALDONI
I confini tra robot industriali e di servizio sono diventati talmente sottili che nell’estate 2015 è stato aperto il primo hotel a Nagasaki, in Giappone, il cui personale è perlopiù composto da robot.
All’hotel Henn-na infatti si viene subito accolti da una giovane receptionist (robot) e un simpatico aiutante uscito probabilmente da Jurassic World, ma più cortese.
In campo manifatturiero Industria 4.0 è ormai diventato il termine più conosciuto e diffuso. Tutto deve essere collegato in rete e in grado di rispondere in modo flessibile e automatico alla domanda del mercato. I robot devono essere capaci di collaborare il più possibile con gli addetti in carne e ossa. L’internet of Thing collegherà tutti i dispositivi in un’unica catena di produzione automatizzata indipendentemente dalla loro collocazione fisica.
Ma allora quale futuro ci sarà per il lavoro umano?
Scienziati e analisti prevedono un mercato in cui i cyber-uomini sostituiranno un numero considerevole di operai e impiegati. Entro il 2018 l’International Federation of Robotics prevede che verranno venduti 150.000 esemplari e le applicazioni riguarderanno agricoltura, medicina, ambito civile e logistica.
Ma cosa significherà veramente? Come prepararsi a questo futuro? Come mantenersi?
Sicuramente puntando su competenze come creatività e problem-solving; coltivando capacità e abilità “tipicamente umane”, ma forse tutto ciò potrebbe non bastare. Alcuni guru della tecnologia sostengono la necessità di un “reddito a vita”: un assegno che permetta a chiunque, occupato o no, di sopravvivere. Al di là delle giuste perplessità bisogna pensare che lasciare un mondo in mano alla tecnologia, ma con le persone senza impiego e in stato di povertà, non rappresenti la soluzione migliore. Il “reddito a vita” garantirebbe comunque un’economia necessaria e necessaria all’innovazione.
Un esperimento in questo senso è stato fatto negli anni ’70 in una provincia canadese, con un programma di 5 anni. I risultati sono stati eccezionali: studenti con punteggi più alti, riduzione di malattie mentali, incidenti stradali e di abusi domestici. Le ore lavorative totali erano calate solo di poco. Il “reddito a vita” ha fatto sì che le persone coinvolte potessero dedicarsi di più a ciò che conta veramente: famiglia, educazione, salute e realizzazione personale.
Forse allora se un giorno ci trovassimo un robot come collega, dovremmo solo sorridergli.
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