Uno degli aspetti centrali per la comprensione del mercato creditizio riguarda l’andamento delle relazioni tra il tessuto imprenditoriale e il sistema bancario, anche alla luce dei nuovi e sempre più stringenti parametri derivanti dagli accordi di Basilea.
Per approfondire tale tematica, pertanto, risulta quanto mai necessario analizzare l’evoluzione dei fidi concessi per tipologia e dimensione d’impresa, al fine di valutare eventuali linee di intervento mirate a specifiche categorie produttive. In questo caso non è possibile risalire direttamente alla dimensione d’impresa sulla base del fatturato espresso, tuttavia ciò che emerge dai dati sulle concessioni di fido è che la maggior parte degli impieghi bancari sono destinati alle imprese di dimensione elevata (deduzione questa basata sul fatto che normalmente sono le imprese più strutturate che chiedono, e spesso ottengono, fidi per importo di dimensione elevata).
Gli affidamenti concessi in Italia ad imprese che hanno in essere fidi per un valore globale di almeno 25 milioni di euro rappresentano il 44,5% del totale), mentre le imprese più piccole che al massimo possono chiedere per le loro esigenze gestionali fidi di dimensione inferiore ai 250 mila euro assorbono impieghi per una cifra percentuale poco superiore al 15%. Considerando come gran parte delle imprese italiane si localizzino in quest’ultima categoria, si evidenzia ancora una volta come la sottocapitalizzazione e la microdimensionalità del sistema imprenditoriale italiano riduca il livello degli investimenti e, quindi, il potenziale rinnovamento delle linee produttive. Ciò vale ancor più se si considera come proprio la recente introduzione degli accordi di Basilea sui parametri di concessione al credito abbia accentuato tali difficoltà, introducendo una serie di restrizioni per la piccola imprenditoria nell’accesso al credito bancario.
Le imprese medio-grandi, dopo un 2008 di crescita, hanno mostrato segnali di rallentamento più evidenti rispetto a quelli delle imprese piccole, il che deriva dalla maggiore esposizione che tali imprese hanno nei confronti del ciclo congiunturale e, al contempo, dalla maggiore incidenza di investimenti di più ampio respiro (ridottisi notevolmente negli ultimi mesi per via dell’attuale clima di incertezza cui riversano i mercati), investimenti che presuppongo quasi sempre l’erogazione di finanziamenti.
Risulta quindi quanto mai necessaria la formalizzazione di politiche del credito che risolvano l’irrigidimento nella concessione dei finanziamenti alla piccole imprese attraverso l’utilizzo ed il potenziamento di strategie associative di finanziamento (un esempio su tutti potrebbe essere quello dei Confidi). Altra strategia potrebbe riguardare un’azione di lobby severa contro gli istituti Bancari di grandi dimensioni veicolando i rapporti verso gli Istituti di credito cooperativo, le popolari, che dati alla mano hanno dimostrato una maggiore capacità di star dietro le pmi. Sono istituti che malgrado la crisi in atto hanno registrato i maggiori impieghi verso il tessuto produttivo più piccolo.
Man mano, infatti, che si va verso le maggiori dimensioni bancarie, la quantità di credito erogata si riduce sensibilmente.
Ma se è provato che l’1% dei maggiori affidatari genera il 57% delle insolvenze in Italia e che il primo 10% dei maggiori affidatari ne genera il 78% di insolvenze, perché si continua a concedere credito a pochi “eletti” a danno della stragrande maggioranza di imprese?
La risposta potrebbe risiedere in un aspetto “esteriore” che i principali istituti debbono salvaguardare e che attiene alla necessità di impiegare in aziende “più sicure” il denaro dei risparmiatori, peccato poco che nei fatti i risultati dimostrano tutt’altro che questo.
Valentina Sanfelice di Bagnoli
Presidente Giovani Imprenditori Confapi
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