Per le aziende operanti nel settore alimentare l’innovazione è molto importante al fine di fronteggiare una situazione di accesa competizione, il cambiamento dei gusti dei consumatori e il rapido sviluppo delle tecnologie. In effetti la pressione sui prezzi è incessante mentre, oltre ad una continua attenzione alla convenienza, i consumatori chiedono assortimenti sempre più ricchi, attenti al gusto e alla soddisfazione di salute e benessere. Anche se in tal scenario l’innovazione sembra dunque una condicio sine qua non, d’altra parte nel settore alimentare è davvero difficile da realizzare, come provano alcuni dati che rivelano come l’80% dei nuovi prodotti lanciati in un anno scompaiano e come oltre il 90% delle nuove introduzioni di prodotto nei supermercati europei riguardino in realtà entità già esistenti. Seguendo le indicazioni di studi già disponibili relativamente ad altri settori, per i quali la cosiddetta open innovation (ossia la crescente tendenza delle imprese a creare un sistema di collaborazioni con l’esterno per scambiare e/o condividere tecnologie e competenze al fine di sviluppare innovazione) sembra essere una modalità strategica che conduce a significativi risultati in termini di innovazione, l’attenzione degli studiosi si sta con sempre maggiore decisione rivolgendo all’ambito food, che sembra appunto ambiente ideale per l’applicazione di tale modalità. Un’attenzione tuttavia abbastanza recente, che non ha ancora consentito di creare un’affidabile base empirica per capire, classificare e valutare i comportamenti open (o perché no, closed?) delle aziende operanti nel settore alimentare. Ciò non significa naturalmente che le stesse non si siano attivate in tal senso, sviluppando reti di collaborazioni più o meno formali, con molti o pochi soggetti (consumatori? Produttori di macchinari? Aziende operanti in altri settori? Concorrenti?), limitatamente a qualche fase del processo di innovazione (ad esempio, la generazione dell’idea) o, più diffusamente, alla collaborazione su tutto il processo che parte dal concept fino al lancio commerciale di un nuovo prodotto. Esempi sulla costituzione di reti di attori nel settore alimentare certo non mancano, circostanza della quale ci si può facilmente rendere conto tramite il Web e citando l’importantissima e altrettanto nota esperienza della Procter & Gamble che ha sviluppato e lanciato un nuovo tipo di Pringles’ potato crisps grazie alla tecnologia messa a punto da un panettiere italiano “scoperto” attraverso una rete globale di potenziali nuove idee.
Una ricerca internazionale aperta alle imprese
Con l’intento di aggiungere conoscenza sui comportamenti reali delle imprese del settore alimentare, il nostro gruppo di ricerca (Uni.TIS, dell’Università Carlo Cattaneo – LIUC di Castellanza) ha avviato un progetto in collaborazione con l’università di Kent, con ambito di indagine comprensivo di aziende (anche multinazionali) operanti in particolare, ma ovviamente non solo, in Italia, Spagna e Regno Unito. Il coinvolgimento diretto nella ricerca delle imprese dell’industria alimentare è lo strumento indispensabile per passare dall’interpretazione teorica della open innovation alla comprensione delle modalità pratiche attraverso le quali le imprese dell’industria alimentare possono concretamente trarre profitto da un approccio aperto all’innovazione. Attraverso approfondite interviste presso le aziende coinvolte, lo studio si pone innanzitutto l’obiettivo di comprendere se l’azienda si prefigge di collaborare con attori esterni nell’ideare e sviluppare progetti d’innovazione e, se questo è il caso, con quale fra i possibili approcci sopra richiamati: con una moltitudine di soggetti o con pochi prescelti, su tutto il processo di innovazione o solo su talune fasi, agendo da accentratore formale dei soggetti coinvolti o condividendo la maggior parte delle scelte, acquisendo tecnologia o cedendola… L’elenco potrebbe continuare e le interviste hanno proprio lo scopo di specificare le differenti modalità di collaborazione attuabili in pratica. Al tempo stesso appare fondamentale comprendere cosa si aspettino le aziende intervistate dall’open innovation in termini di benefici, così come quali rischi potenziali esse percepiscano, e, a tal fine, il racconto a posteriori di esperienze di successo e di insuccesso è sicuramente determinante. Di fondamentale importanza nella nostra indagine è l’enfasi posta sul “contesto” in cui l’azienda si trova ad operare (si veda la Figura 1).
Fig. 1: L’importanza del contesto
Sia esso per così dire esterno (pensiamo ad esempio al contesto socio-politico o all’arena competitiva nel quale l’impresa si muove), o interno (quali dimensioni ha l’impresa? Che caratteristiche organizzative presenta? Quali sono i suoi valori culturali o lo stile manageriale prevalente?) o di connessione fra ambiente esterno e ambiente interno (con quale strategia l’azienda intende competere e quali obiettivi si pone di perseguire tramite le collaborazioni?), la nostra ipotesi è che il contesto influenzi la propensione a collaborare e anche le modalità pratiche con le quali tali collaborazioni vengano messe in atto. Prima che la ricerca in atto agevoli, con i suoi risultati, la comprensione di tali relazioni, possiamo solo azzardare qualche esempio: il contesto sociopolitico può incentivare o meno le collaborazioni, concedendo finanziamenti dedicati; l’intensità competitiva che caratterizza il settore e le mosse dei concorrenti possono favorire o meno alleanze fra imprese; l’utilizzo più o meno diffuso di meccanismi di protezione della proprietà intellettuale (ad esempio, tramite il ricorso ai brevetti rispetto al meno tutelato segreto industriale) può incentivare od ostacolare l’open innovation; la cultura, i valori, l’orientamento strategico di fondo che caratterizzano una certa impresa possono giocare un ruolo fondamentale nel determinare la sua propensione a collaborare; infine, anche qualora l’impresa propenda per un approccio open, quest’ultimo va sicuramente supportato con specifici ruoli organizzativi e strumenti manageriali che consentano il monitoraggio delle relazioni in essere.
I risultati attesi della ricerca e i benefici per le imprese
Lo sforzo di indagine che il gruppo di lavoro internazionale ha avviato non ha solo obiettivi prettamente accademici, ossia di comprensione e spiegazione del fenomeno studiato, ma ha anche lo scopo di identificare alcune “linee guida” per le imprese che intendono aprire i loro processi di innovazione a contributi da e verso soggetti esterni. L’insieme di casi che verranno studiati, infatti, dovrebbe consentire alle imprese del settore di identificare il modello di open innovation più adeguato al loro specifico contesto. In altri termini, la ricerca dovrebbe dare risposte ad alcune domande che sempre le imprese si pongono di fronte a questa opportunità, quali ad esempio:
Sono piccola, posso davvero aprirmi alle collaborazioni di natura tecnologica o rischio di perdere il mio know how di eccellenza?
Prima di aprirmi a collaborazioni esterne, è opportuno che io tuteli in qualche modo le mie tecnologie e il mio know how?
Vista la mia organizzazione, quali persone e ruoli possono essere dedicati a supportare le collaborazioni con soggetti esterni?
Un secondo insieme di benefici attesi dalla nostra ricerca riguarda la possibilità per le imprese partecipanti di incontrarsi durante meeting di confronto e scambio di opinioni sul tema specifico. Lo scorso 21 ottobre si è tenuto a Daventry, UK, uno dei convegni di presentazione dei risultati intermedi della ricerca (si veda il sito http://www.fdin.org.uk/seminars/previous-seminars-and-documentation/), durante il quale alcune delle imprese coinvolte nell’indagine hanno potuto discutere dei vantaggi e delle difficoltà incontrate a seguito delle loro scelte di apertura dei processi di innovazione. Come sempre, al di là delle teorie, confrontarsi sulla base delle esperienze reali è di grande valore per chi vuole far evolvere la propria attività.
Una ricerca ancora aperta: riferimenti e link utili
La ricerca è ancora aperta, nel senso che si cerca continuamente di coinvolgere nuove imprese per migliorare e approfondire la comprensione dei fenomeni, con l’intenzione di ottenere risultati più robusti e completi. Nella speranza di vedere coinvolte nel futuro un numero crescente di imprese italiane, anche e soprattutto di piccole e medie dimensioni, riportiamo qui il link al sito Uni.tis dell’Università Carlo Cattaneo, nel quale trovate i contatti ai quali potete rivolgervi per partecipare all’indagine:
Si riportano inoltre altri link utili sul tema, che dimostrano non solo come l’interesse del settore alimentare per la open innovation sia grande, ma anche e soprattutto quanto lavoro ancora resti da fare per le imprese e per noi ricercatori.
http://www.cocatalyst.com/blog/index.php/2009/11/27/open-innovation-in-the-food-and-drink-industry/
http://masscustomization.blogs.com/mass_customization_open_i/2006/06/kraft_foods_cro.html
http://www.fdin.org.uk/
Valentina Lazzarotti, Raffaella Manzini
Università Carlo Cattaneo – LIUC
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