L’amministrazione Trump è convinta che i nuovi dazi reciproci applicati alle merci d’importazione possano rilanciare l’economia degli Stati Uniti. Scettici gli economisti che auspicano la via del compromesso.
Make America Great Again è il mantra che ha permesso al Presidente Donald Trump di tornare alla Casa Bianca. L’amministrazione americana punta ripristinare un più equo rapporto della bilancia commerciale ricorrendo a una tassazione uguale e reciproca per pareggiare l’imposta sul valore aggiunto, sui beni importati negli Stati uniti, con il fine ultimo di incentivare l’avvio di produzioni interne, o il ritorno, da parte di aziende straniere.
La strada si è rivelata subito lastricata perché come ricordato da diversi economisti lo strumento dei dazi è un’arma a doppio taglio. Nel senso che può nuocere anche allo stesso Paese che li introduce. Il Nobel americano, Joseph Stigltz ha riassunto bene il concetto: “i dazi scateneranno una guerra commerciale che nessuno potrà vincere”.
L’analisi Coldiretti
Coldiretti ha stimato, basandosi su dati Istat, che con un dazio del 25% sulle esportazioni agroalimentari Made in Italy negli Usa potrebbe costare ai consumatori americani fino a 2 miliardi di euro in più, con un sicuro calo delle vendite, come tra l’atro già dimostrato anche dalla precedente esperienza nel primo mandato di Trump. Un rischio quindi che andrebbe a incidere sui risultato sul fatto segnare nel 2024 dalle esportazioni di cibo Made in Italy negli States, saliti al valore di oltre 7,8 miliardi di euro.
L’analisi Coldiretti è concentrata soprattutto sui riflessi nel nostro Paese: se i dazi dovessero interessare l’intero agroalimentare, il costo stimato per le singole filiere sarebbe di quasi 500 milioni solo per il vino, circa 240 milioni per l’olio d’oliva, 170 milioni per la pasta, 120 milioni per i formaggi.
Le stime si basano anche su quello che è avvenuto in passato: i dazi imposti durante la prima presidenza Trump su una serie di prodotti agroalimentari italiani hanno portato a una diminuzione del valore delle esportazioni (confronto annuale tra 2019 e 2020) che è andata dal -15% per la frutta al -28% per le carni e i prodotti ittici lavorati, passando per il -19% dei formaggi e delle confetture e il -20% dei liquori. Ma anche il vino, seppur non inizialmente colpito dalle misure, aveva fatto segnare una battuta d’arresto del 6%.
Ecco perché quando i primi nuovi dazi verso Cina, Messico, e Canada sono stati annunciati ai primi di marzo e poi subito sospesi i mercati globali non l’hanno presa proprio bene.
Scenario da compromessi
Trump ha annunciato per il prossimo 2 aprile nuovi dazi che colpiranno direttamente l’Europa. I settori più a rischio, secondo gli analisti, sono ancora una volta quello dell’auto, della chimica e della farmaceutica. L’Europa ha un surplus di 157 miliardi verso gli Usa. Per l’Italia l’America è il secondo partner commerciale con un surplus di 40 miliardi. Secondo il Centro Studi di Confindustria, stimare l’impatto dei dazi americani sia sull’economia europea che su quella italiana non è al momento possibile. Molto dipenderà da come saranno effettivamente attuati e dalle contromisure che saranno prese. Ma in situazioni analoghe, nei tre mesi successivi all’introduzione dei dazi, il commercio mondiale ha subito un calo del 10 per cento. Secondo Alessandro Terzulli, capo economista della Sace, i dazi non avranno un impatto nel 2025, ma peseranno negli anni successivi tra i 6,8 e i 10 miliardi di euro per l’Italia. Inoltre in uno scenario di “guerra commerciale”, il prossimo anno il Paese potrebbe entrare in stagnazione economica. Secondo diversi economisti per l’America andrebbe peggio, perché finirebbe entro un anno in recessione.
Il Vecchio Continente è pronto a reagire, lo ha detto il presidente francese Macron. «Non dobbiamo in alcun modo dimostrarci deboli di fronte a queste misure, dobbiamo difenderci». La Commissione Ue aspetterà il concretizzarsi delle misure di Washington prima di mettere in campo una risposta proporzionale.
Tutto questo, considerate le dichiarazioni del Segretario al Commercio Howard Lutnick, lasciano intendere a una possibile apertura a compromessi nonostante il presidente Trump abbia ribadito davanti al Congresso che l’eventuale fase di adattamento ai dazi potrebbe risultare necessaria per rafforzare la posizione economica degli Stati Uniti.
di Franco Metta

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