Per affrontare con successo le situazioni complicate bisogna guardarle in faccia. Quando un imprenditore proprietario di una piccola o media impresa, si ritrova, come tutti noi, all’interno di una “tempesta perfetta”, la priorità è restare a galla, non affondare, non scomparire fra i flutti. La tempesta è formata da quattro elementi che concorrono assieme a creare l’evento eccezionale. Ci troviamo ad affrontare una crisi finanziaria che deve ancora esprimere tutta la portata del suo disastro, perché si continua a rimandare il peggio consentendo a nazioni, ad assicurazioni e a banche di fare altro debito per prendere tempo. Abbiamo problemi ambientali di portata planetaria con in particolare l’emergenza climatica, forse già irreversibile, che sta portando ad un aumento esponenziale dei disastri meteorologici. Abbiamo problemi economici dovuti all’eccesso di produzione, ovvero alla disponibilità oramai solo di mercati domestici di sostituzione e per di più impoveriti ed in crisi di fiducia. Intanto sul piano delle esportazioni viviamo lo spostamento della leadership sui mercati dove arrivano nuovi “dominatori”, quelli che vengono denominati BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), grandi nazioni con grandi popolazioni, in parte con abbondanza di materie prime e una crescita economica a due cifre. Molti analisti stimano la perdita di manifatturiero in Italia nei prossimi anni in almeno il 40%. Abbiamo problemi sociali enormi dovuti all’aumento della povertà “senza speranza”. Migliaia di persone che perdono il posto di lavoro e non lo ritroveranno, con riverberi imprevedibili sulla coesione sociale. Infine c’è un quinto elemento non ancora presente, ma altamente probabile, che è quello dell’avvio di nuove guerre per le risorse energetiche ed il probabile spostamento di masse di giovani dall’Africa all’Europa. Un ulteriore contributo all’instabilità ed alla sfiducia dei mercati.
Sembra proprio che tutti i nodi vogliano venire al pettine assieme, rendendo quasi impossibile il poterli affrontare con successo. Una tempesta perfetta, appunto, ma nella quale dobbiamo imparare a nuotare.
“Che tu possa vivere in tempi interessanti!” dicevano i cinesi quando volevano maledire qualcuno, perché la Storia ricorda solo le date delle guerre, delle invasioni, dei terremoti e delle rivoluzioni e sorvola i periodi di stabilità, quando si vive sereni e non ci sono violenze o sommovimenti sociali. Bene, noi pare proprio che siamo destinati a vivere in tempi interessanti, che verranno ricordati nei libri di storia. Cerchiamo di prenderne coscienza, di accettare il fatto e anche di reagire. Non è una crisi passeggera, è l’inizio di un grande cambiamento di cui non si vede la fine e non si possono prevedere con chiarezza gli sviluppi futuri. Un imprenditore a capo di una pmi dovrebbe quindi guardare in faccia la “tempesta perfetta” e prenderne coscienza della situazione. Lo scopo non è l’ottenimento di una consapevolezza di superficie, solo intellettuale o da “notizia ricevuta e registrata”, ma profonda, di cuore e di pancia, di quelle che portano a fare scelte di vita. Bisogna prendere coscienza che nulla tornerà come prima e che i vecchi sistemi non funzionano più o funzioneranno per poco. Bisogna prendere coscienza che è finito il tempo della quantità, delle grandi commesse, dei lotti numerosi e del guadagno sudato fino all’ultimo euro, ma più o meno garantito dalla domanda di mercato sempre in tiro. Attualmente quasi tutti i settori che ancora sono in crescita, anche vorticosa, sono “drogati” da incentivi di qualche tipo realizzati con denaro pubblico. Tutto il resto è fermo o vivacchia.
L’imprenditore è in primo luogo un combattente e se sta sul mercato da anni vuol dire che possiede motivazione e capacità. Si tratta ora di trovare nuove motivazioni dove orientare tali capacità. L’imprenditore si deve impegnare più degli altri per lavorare su se stesso, perché ha una responsabilità sociale importante. Le sue scelte hanno ricadute sul molte altre famiglie, oltre la sua, e anche nell’insieme sull’andamento della nazione. Non si tratta certo di fare un viaggio in India a cercare se stessi o di andare da uno psicanalista, ma di capire qual è, se c’è, il proprio ruolo e quello della propria azienda in un mondo che cambia alla velocità di uno Tsunami.
In concreto, possiamo quindi suggerire al nostro imprenditore i seguenti passi:
Abbandonare speranze ed illusioni che la crisi sia passeggera e/o che interverrà un qualche miracolo in grado di salvare la situazione. In ogni caso, mentre continua ovviamente a cogliere le opportunità di mercato residue, l’imprenditore dovrebbe creare una “scialuppa di salvataggio aziendale” ipotizzando il peggiore degli scenari possibili.
Abbandonare il mito della crescita continua e dello sviluppo. Il futuro è nella stabilità e nell’utilità, nella collaborazione e nella relazione col cliente piuttosto che nella competizione con i concorrenti. Meglio lavorare per stabilizzarsi nella dimensione ideale, dove fatturato, n° di dipendenti e quantità di prodotti o servizi sono in equilibrio, che continuare ad indebitarsi per uno sviluppo continuo oramai privo di senso e dove, quando va bene, è tutto un saliscendi.
Trovare nuovi paradigmi di eccellenza. Oggi il miglioramento continuo delle prestazioni, la vastità della gamma, l’innovazione estetica e tecnologica ed altri plus tradizionali sono solo in apparenza dei valori vincenti, perché il mercato non le paga più queste cose. Le accetta, ma non lascia i giusti margini. E’ un segnale preciso. Rispetto dell’ambiente, etica, rapporto qualità prezzo, concretezza/sostanza, reale utilità sono nuovi paradigmi di eccellenza che il mercato apprezza e ripaga.
Cercare di produrre utilizzando meno acqua, meno energia e meno materiali, producendo meno rifiuti. Applicare tecniche di analisi dei processi e dei prodotti per verificare l’impatto ambientale durante l’intero ciclo di vita ed applicare quindi tecniche di eco-design per migliorare processi e prodotti. Oltre ad essere un impegno apprezzato dal mercato, aiuta l’impresa a cambiare in meglio.
Impostare l’organizzazione dell’azienda avendo a riferimento il principio della sobrietà. Gli imprenditori sono abituati a crescere e nello sviluppo sono molto bravi. Ma quando si tratta di decrescere sono guai, perché non lo fanno mai per scelta: subiscono le crisi di mercato. Poi perché manca la mentalità ed il sapere. Allora si usa l’ascia per tagliare personale, rami d’azienda, magazzini… Invece bisogna usare il cesello e togliere il superfluo in ogni area senza danneggiare l’azienda.
Impegnarsi in ogni caso, anche quando sembra difficile, nello sviluppo di un mercato locale, di territorio. I costi sempre più elevati dei trasporti e le penalizzazioni legate alle emissioni di CO2, valorizzano il km 0 e i mercati di prossimità. Inoltre vendendo in loco si rafforzano i legami con il territorio che diventa una protezione per la sopravvivenza dell’azienda stessa, che viene vista come un capitale comune.
Chiedersi cosa significa oggi essere dei vincenti e cosa essere dei perdenti. Verificare senza pregiudizi se l’immagine che si proietta all’esterno (e quella che si ha di se stessi) è ancora vincente oppure si è rimasti “incollati” a valori vecchi e superati. E’ più facile di quanto non si pensi considerarsi vincenti mentre invece agli occhi degli altri si è solo ridicoli. Mi rendo conto che il messaggio può apparire duro e molto controcorrente, quando tutti parlano ancora di crescita, di sviluppo e di aumento del PIL. Ma gli imprenditori che vogliono ragionare con la loro testa, senza credere come in una religione ad un modello che mostra la corda, potranno giungere alle stesse conclusioni, o a conclusioni analoghe, semplicemente osservando direttamente le cose. In ogni caso è tempo di reagire e chiedersi: “sul serio io credo che sia possibile che la situazione economica e di mercato tornerà, prima o poi, com’era nel 2007?” Ecco, ognuno si può dare la sua risposta ed agire di conseguenza.
Giordano Mancini
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