Oggi siamo nel pieno di quel ciclo innovativo noto come “Cloud Computing”: non c’e articolo informatico o episodio di hackeraggio o malfunzionamento in cui non si faccia riferimento al cloud inteso spesso con un’accezione che va oltre la definizione di Wikipedia. Oggi il cloud lo troviamo sullo smartphone, per eseguire applicazioni ed accedere a dati che non sarebbero altrimenti disponibili; lo troviamo sul nostro portatile, dove possiamo utilizzare software eseguiti su server remoti; lo troviamo nei sistemi di business analytics, dove vengono filtrati ed elaborati grandi quantità di dati senza ricorrere oltre il necessario agli efficienti mainframe aziendali. Ma come tutte le innovazioni che si diffondo rapidamente, occorre un certo tempo affinchè le persone, le organizzazioni e i processi le metabolizzino. Nel frattempo nascono correnti di pensiero e interpretazioni sui vari significati e sui relativi vantaggi e svantaggi, che possiamo chiarire partendo dai fondamentali.
I cardini del cloud sono tre:
virtualizzazione, automazione e rete
Sia che si parli di desktop, sia che si parli di server, sia che si parli di storage o reti, fondamentale nel cloud è la virtualizzazione. Virtualizzare tali risorse significa che l’utente, o l’applicazione, percepisce di avere una risorsa dedicata quando in effetti non ha che un pezzetto di risorsa. Ma questo ovviamente non è ancora cloud.
Il secondo cardine è l’automazione. Uno dei maggiori problemi emersi dalla virtualizzazione è l’impossibilità di gestire le risorse virtuali in modo tradizionale. Per fortuna già da tempo l’ITIL (Information Technology Infrastructure Library) ha definito le regole per la standardizzazione dei processi, che hanno poi facilitato la possibilità di automatizzare la miriade di sistemi generati dalle tecnologie di virtualizzazione. I software e le procedure di automazione sviluppati nel corso degli ultimi anni ci hanno quindi permesso di creare e gestire macchine virtuali con semplicità, mascherando all’utente la grande complessità intrinseca. Oggi creare e aggiornare macchine virtuali, farne una corretta gestione della sicurezza, applicare procedure di Change Management in modo semplice e in gran parte automatizzato è
una realtà resa possibile da tecnologie associate al modello cloud, come ad esempio quelle di service management e di security appartenenti alla famiglia Tivoli di IBM. Ma non siamo ancora al cloud.
Immaginiamo ora di collegare questi sistemi virtualizzati e automatizzati ad una rete che sia sufficientemente performante, ossia non faccia percepire all’utente la differenza fra quanto viene processato localmente e quanto viene elaborato nella Nuvola a centinaia di chilometri.
Sul mio personal computer o sul mio smartphone avrò un’icona che una volta “cliccata” eseguirà la funzione prevista, senza che io sia consapevole di dove sia eseguita, localmente o altrove. L’unica differenza del cloud è che, in caso il dispositivo che sto utilizzando si dovesse rompere o se dovesse spegnersi, potrò andare su qualsiasi altro device in cloud, fare il login ritrovando tutto esattamente come era un attimo prima dell’incidente. Sì, perchè tutto accade nel sistema in cloud e non “nel” dispositivo. Ora possiamo portare questo concetto ad un livello piu alto, dove ad accedere ai servizi sono altre applicazioni, parte di processi più complessi e critici per il business aziendale. Queste funzioni richiedono tipicamente grandi potenze di calcolo e accesso a grandi spazi di dati che in un sistema tradizionale assorbirebbero tutte le risorse disponibili fino a saturare il sistema. Ma con il cloud abbiamo a disposizione un insieme di macchine virtuali che, attraverso l’automazione, possono essere accese, spente, interconesse dinamicamente in rete solo per il tempo necessario all’esecuzione di quella particolare funzione, ottimizzando lo spazio di memoria, l’utilizzo dei processori, i tempi morti e addirittura le diverse tecnologie. La condizione di base è che ci sia una mappa di riferimento di queste risorse con le relative connessioni possibili; i software di automazione e le interfacce grafiche utente faranno poi il loro lavoro autenticando, connettendo attivando, disattivando, etc. Possiamo quindi affermare che oggi esistono Piattaforme Cloud in grado di assicurare al business funzionalità complesse in modo semplice, elastico e trasparente.
Resta ancora da chiarire dove mettiamo il sistema cloud, ossia la differenza tra Public Cloud e Private Cloud.
Chi eroga il servizio cloud deve dotarsi di un’infrastruttura con specifiche caratteristiche per isolare, gestire e misurare tutti i diversi ambienti messi a disposizione dei vari clienti, che utilizzeranno servizi “Public”. I clienti di un cloud service provider usufruiranno del cloud senza dover fare investimenti in strutture e competenze, ma semplicemente utilizzando software e piattaforme come servizio, senza preoccuparsi di conoscerne i prodotti che le costituiscono, della loro manutenzione, di salvataggi e relativi ripristini in caso di problemi. Se poi gli stessi servizi non sono erogati a clienti terzi ma a reparti interni, allora siamo in presenza di un Private Cloud dove i vari reparti potranno autonomamente allocare le risorse hardware e software che il gestore avrà stabilito di rendere loro disponibili, accorciando molto i tempi per l’approvvigionamento.
Vediamo ora i vantaggi e gli svantaggi che presentano le due soluzioni.
Il Public Cloud è veloce e immediato: con pochi click si acquista in modalità servizio spazio server, spazio storage, capacità di calcolo, si puo’ avere a disposizione una piattaforna di collaboration o addirittura una idonea a sviluppare e testare nuove applicazioni. Inoltre il costo è molto competitivo rispetto alle soluzioni IT tradizionali: è un “pay per use”, con un minimo di canone per riservarsi l’accesso alle risorse. Di svantaggi non ce ne sono molti, se non il costo della banda necessaria per il trasferimento di grandi quantità di dati e l’incertezza sulla sicurezza delle informazioni, che vengono gestite da terzi e, a volte, all’estero. Per contro, il Private Cloud richiede investimenti e competenze, fermo restando che il riutilizzo delle risorse da un progetto all’altro è estremamente piu’ semplice grazie ai meccanisimi di virtualizzazione ed automazione.
Pertanto la scelta dovrà essere fatta in base alle specifiche esigenze dell’azienda. A tale riguardo, esistono appositi “Cloud Exploration Workshop”, che in base al modello di business dell’azienda delineano la miglior soluzione cloud. Purtroppo la riluttanza ad affidarsi all’esterno per queste valutazioni, la difficoltà ad identificare in modo autonomo i parametri di confronto e i dubbi sulla sicurezza, hanno creato un certo ritardo nel delicato passaggio dalla virtualizzazione (diffusa in oltre il 50% delle infrastrutture IT italiane) all’automazione e, quindi, al Cloud Privato o Pubblico.
Quello che si prospetta per il prossimo futuro è uno scenario di maggior complessità in cui si dovrà optare per sistemi ibridi, che utilizzino contemporneamente servizi di Private e di Public Cloud, anche erogati da provider diversi, in cui sarà necessario un ulteriore strato di software che assicuri la connessione tra dati e applicazioni dislocati su ‘Nuvolè diverse. Per far si che tutto questo insieme di ambienti e prodotti eterogenei sia armonico e integrato è indispensabile avere una solida Cloud Reference Architecture, che detti regole e funzionalità da mantenere per un periodo di tempo sufficientemente lungo, adeguandosi e aggiornandosi al progredire della tecnologia e dei nuovi modelli di business. Orientarsi quindi nel cloud è difficile ma non impossibile. Occorre approfondire con i vari fornitori di servizi e prodotti la loro strategia evolutiva: quanti e quali centri eroghino i servizi, se abbiano o meno una Reference Architecture, che tipo e qualità di livelli di servizio e di supporto tecnico siano in grado di dare sono tutti elementi necessari ad una valutazione ragionata, salvaguardando investimenti e credibilità di chi è preposto a fare queste scelte e tenendo presente che in queste fasi critiche di salto tecnologico i primi che sapranno avvalersi efficacemente di queste innovazioni ne trarrano anche i maggiori vantaggi competitivi.
Gennaro Panagia
Cloud Computing Leader, IBM Italia

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