È ampiamente accettato il concetto che nella creatività realizzativa convivono sia la capacità manuale, tipica dell’artigianalità, che l’astrattualità intellettuale dell’elaborazione concettuale. Noi italiani le possediamo entrambe. Infatti occorrono, oltre all’immaginazione, anche la “sapienza della manifattura” e quella dell’assemblaggio che consiste nella capacità di mettere insieme dei componenti per realizzare un prototipo che evidenzia, in modo tangibile, il passaggio dall’ idea, ad un prodotto finito.
I nostri artigiani che sono il DNA produttivo del Paese,rappresentano il “sapere verticale” che si tramanda di generazione in generazione,di chi si attiva nella risoluzione di problemi, specifici, da decenni, coniugando la maestria del fare con la sua valorizzazione emozionale. Questi elementi, oggi, possono essere le leve sulle quali operare per consentire al nostro Paese di riprendere quel cammino innovativo che, in un non lontano passato, è stata la ragione del nostro sviluppo economico (boom degli anni Cinquanta), evitando, però, gli errori di allora e impiegando fattivamente le nuove tecnologie. Infatti, invece di competere sui mercati con continue riduzioni di prezzo e contrazioni di costi su prodotti di dubbia utilità e spesso pagati dall’ambiente e dalla società, la nostra competenza nel saper fare le cose a regola d’arte, può portarci a produrre competitivamente e in ridotte serie, manufatti particolari, fruibili e difficilmente imitabili, specializzandoci nella ricerca sull’innovazione, non solo di processo, ma principalmente di prodotto. Tutto ciò, però, non significa rifiutare la tecnologia in nome di tradizione e manualità, quanto piuttosto saperla guidare e indirizzare, coerentemente, in direzione della realizzazione di prodotti che contengano al loro interno il fascino del bello, del design e della sapienza realizzativa. Questo perché nel Mondo globale e massificato sono in crescita coloro che nei prodotti che acquistano ricercano tradizione secolare e saperi, declinati in cultura ed emozione, che li pongano al vertice della catena del valore percepito.
Per le nostre PMI e le aziende artigiane, troppo piccole per la competizione sulle economie di scala e l’innovazione permanente, si possono aprire due opportunità:
– la prima legata alla produzione ed alla vendita di piccole “opere d’arte”, riproducibili in serie limitate e contraddistinte da specifiche peculiarità;
– la seconda invece, focalizzata sul servizio che offre conoscenza, gusto per il bello, problem solving manifatturiero, senso estetico, eleganza, genialità a costo ridotto, “made concept by Italy”.
Se questi sono i segnali positivi e le opportunità da cogliere, non meno rilevanti sono però i rischi e gli elementi di debolezza che il Paese ha accumulato in questi ultimi venti anni di mancata crescita. Infatti se consideriamo la graduatoria stillata dal Global Innovation Index che è l’indicatore di innovazione elaborato dall’INSEAD (Istitut Europèen d’Amminitration des Affaires) con Alcatel, Booz&Co e l’Agenzia delle Nazioni Unite per la proprietà intellettuale, verifichiamo che l’Italia è collocata al 35°posto, su 125 ed è superata da tutti i principali Paesi europei.
L’indice può essere considerato un fattore credibile in quanto non si limita solo a considerare i fondi destinati alla ricerca e il numero delle pubblicazioni scientifiche, ma analizza anche i fattori, le politiche e la cornice istituzionale che sviluppano un ambito che ottimizzi le capacità innovative presenti in un paese. Questo perché si è ormai raggiunta la consapevolezza che una notevole mole di idee innovative e di approcci processuali non convenzionali, si sviluppano al di fuori dei tradizionali ambiti formali (Università e Centri di Ricerca), quanto piuttosto “on the field” o “during the job”. Infatti un’idea inventiva non è ancora un’innovazione fino a quando non si declina in qualcosa di fruibile per i clienti; per questa ragione debbono essere monitorati sia gli attivatori di innovazione che sono gli ambiti del contesto socioeconomico in grado di stimolare la creatività e la diversità di pensiero che fanno da fondamento all’innovazione.
Sostanzialmente si può far riferimento a un contesto di democrazia evoluta, di burocratizzazione ridotta, scolarizzazione elevata, coesione sociale, accoglienza, mercato aperto, solidarietà e sviluppo delle reti (reali e virtuali). Nonché i concreti manufatti, ovvero i prodotti innovativi, i servizi avanzati e le applicazioni del sapere scientifico che la tecnologia realizza e diffonde sui territori a beneficio dei fruitori.
Queste due grandi categorie sono pertanto la sommatoria di molteplici altri indici (un’ottantina circa!) che si sostanziano in contesti istituzionali qualificati ed avanzati,infrastrutture efficaci, talenti e capitale umano di valore, stadi avanzati di sviluppo del business, qualità della ricerca scientifica, livello di benessere e valore delle relazioni, creatività e fruizione di beni artistici ecc.
Se ad esempio confrontiamo i nostri dati con quelli della Germania (paese dodicesimo in classifica ed anch’esso a forte caratterizzazione produttiva) possiamo riscontrare che l’innovazione italiana è spesso concentrata sul miglioramento qualitativo del prodotto e sulla cura del dettaglio funzionale, a conferma della nostra “spiccata” vocazione manifatturiera. Questo perché si tende alla ricerca della massima soddisfazione del bisogno del cliente (customizzazione) e si ricerca anche il rafforzamento del senso di appartenenza identitaria che può fornire una produzione “esclusiva” (vedi le automobili Ferrari o i grandi della moda, del cibo o del vino).
L’innovazione tedesca, invece, si focalizza sulla realizzazione di più marcati incrementi di produttività, in modo tale da aumentare la richiesta dai principali mercati di sbocco, con conseguente accrescimento della loro dimensione quantitativa e ulteriore crescita dei volumi esportati. Personalmente sono dell’avviso che la produttività nel manifatturiero italiano e tedesco siano molto vicine e che noi compensiamo con la flessibilità delle piccole dimensioni, la “rigida potenza di fuoco” delle grandi multinazionali tedesche. La vera differenza però la fanno i nostri servizi, alle imprese e ai cittadini che a parità di prezzo, forniscono prestazioni nettamente inferiori a quelle tedesche e incidono poi pesantemente sulla nostra produttività complessiva ed abbassano il livello di innovazione che ci vedi penalizzati, poi, in tutte le graduatorie internazionali.
Luigi Pastore
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