E’ ampiamente riconosciuto che il Nostro Paese pur ricco di inventori, ideatori e ricercatori, è uno dei meno sensibili all’innovazione come elemento sistemico di crescita economica e dedica una quantità di risorse, in ricerca e sviluppo, pari a circa la metà di Francia e Germania.
Quello che però in troppi fingono di ignorare è che è principalmente la quota di investimenti privati, in ricerca e tecnologia, che determina la gran parte di questo risultato negativo.
Stiamo parlando di un valore che in rapporto al Pil, supera di poco lo 0,55 %; ecco quindi che poca ricerca, pochi investimenti, poca innovazione, non possono che produrre limitata crescita economica per il Paese (gli investimenti fissi lordi, negli ultimi quattro anni sono calati di oltre il 20%, a conferma di quanto dichiarato ).
Come scontata conseguenza, se i privati non investono e lo Stato per ragioni di debito, deficit e di difficoltà economiche crescenti, riduce le risorse da trasferire, il risultato non può che essere un Paese “fermo”, con occupazione calante, sfiducia crescente, assenza di ricambio sociale e giovani senza prospettive (in Europa la componente del Pil riconducibile al Pubblico è circa il 50% del totale,con una punta del 56% in Francia).
Le ragioni di questa situazione sono varie e complesse, ma sicuramente riconducibili, anche, alla frammentazione del nostro tessuto produttivo e alla ridotta dimensione delle aziende; deve essere quindi la Pubblica Amministrazione a trovare il modo di investire in scienza e sviluppo, senza accrescere il debito e la revisione del suo bilancio e della spesa complessiva, può determinare significativi risparmi e recuperi di risorse da dedicare allo scopo.
Occorre però operare in modo “co-innovativo” e selettivo per far si che le opere e i servizi che si dovranno realizzare, non siano, come nel passato, anche recente, nuova fonte di sprechi, inefficienze e perdita di opportunità.
Per raggiungere l’obiettivo servirà una metodologia in grado di ridare slancio ai progetti prioritari e a quelli capillari sul territorio, con la possibilità di superare la conflittualità e le resistenze al cambiamento,sempre presenti quanto si tocca lo “status quo,” con il dialogo e l’ascolto.
Operando in questo modo sarà possibile raggiungere gli obiettivi di superare le resistenze alla realizzazione di opere complesse, di spostare l’attenzione sull’infrastrutturazione diffusa, il recupero e sulla manutenzione, contrarre i tempi di realizzazione e ottimizzare le risorse.
Tutto questo con l’utilizzo di un processo basato sulla consultazione, il confronto, la concertazione e la condivisione delle ragioni e delle tempistiche degli interventi, in modo da ottenere coesione sociale su un nuovo modello di crescita sostenibile, fondata su saldi ambientali pari a zero (territorio consumato, compensato da ambiente recuperato).
La riflessione concertata sulle opere e i servizi, deve essere aperta, trasparente e diffusa per consentire la valutazione delle priorità dell’intervento progettuale, rispondendo ai seguenti criteri :
– perché farle (deve prevalere una “logica di rete”che chiude i “buchi”, garantisce accessibilità, continuità ed integrazione di tratte, piattaforme e vettori)
– quali dovranno essere i parametri realizzativi
– quante, dove e come si recupereranno le risorse
– come si ripagherà e in quanto tempo l’intervento (tenendo conto delle “esternalizzazioni”complessive dei costi)
– come si individueranno e valuteranno i percorsi, nel caso di opere cinematiche
– quali tecnologie verranno adottate, tenendo presente l’obbligo dei risparmi, secondo la logica della “lean enterprice”( riduzione di disequilibri, sovraccarichi e sprechi)
Infatti l’utilizzo dell’ascolto, nel confronto costante con i soggetti coinvolti, permette di parametrizzare le opinioni e di argomentare compiutamente le ragioni delle scelte.
Perché rilanciare la vera innovazione (innovazione di partnerariato), quella che incrementa la produttività complessiva di un Paese, significa utilizzare le ricadute dell’attività scientifica e delle tecnologie avanzate , declinandole in nuovi prodotti e servizi che migliorano le esigenze, la soddisfazione e la qualità di vita dei cittadini ed accrescono la competitività delle imprese, salvaguardando l’ambiente nel quale siamo inseriti.
In questo modo si generano, occupazione, progresso e modernità e il trasferimento degli investimenti sia Pubblici che privati, dal comparto dei beni e dei consumi individuali, ormai saturi e forieri di crescita che “consuma” risorse sempre più scarse e incrementa il PIL a vantaggio però di pochi, ai beni collettivi, può rendere sostenibile la crescita anche per le future generazioni.
Operando anche su infrastrutture “minute” e diffuse, sulla salute, sull’istruzione, sulla cultura, sul recupero di aree urbane ed industriali obsolete e degradate e sul riassetto geomorfologico del territorio, si ridarà centralità allo spazio, declinandolo in “paesaggio”e si ribalterà la logica del “pensiero unico dominante” che per troppi anni ha visto il predominio della finanza sull’economia e dell’economia sulla politica.
Perché non può che essere la Politica (polis), partecipata dai cittadini, e che garantisce il ricambio delle classi dirigenti, a tutelare,l’interesse dei più, di quelli che verranno dopo di noi e dell’intero Pianeta.
Questa innovazione di processo nel rapporto Stato/Cittadini, è la condizione perché si transiti dalla “green economy” alla “green society”; infatti per rilanciare crescita e progresso, non basta solo un nuovo modo di produrre e consumare, occorre anche ripensare profondamente i rapporti tra tutti i portatori di interessi e le istituzioni della democrazia stessa.
Luigi Pastore
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