L’affascinante dibattito che vede economisti di “rango”impegnati nell’individuazione di ricette per rilanciare lo sviluppo,suscita apprensioni e dubbi, dal momento che ritengo, per fortuna in buona compagnia, che sviluppo e progresso non siano sinonimi e neppure le due facce della stessa medaglia. Sono invece del parere che da molti anni, purtroppo, si sia generata una profonda frattura e che, almeno nel Nostro Paese, sviluppo (crescita) e progresso (consapevolezza) si siano mossi su traiettorie divergenti e l’estenuante dibattito sulla nostra caduta di produttività, sia diventato un alibi per non affrontare i veri nodi che ci affliggono.
Infatti incrementi di produttività e innovazione continua,da noi ultimamente così carenti, sono un parametro per misurare il progresso e definiscono una corrispondenza biunivoca di relazioni che può tendere all’ottimizzazione delle risorse grazie alla loro riduzione a parità di prestazione fornita.
Questo presuppone una visione di medio periodo che la finanziarizzazione dell’economia ha rimosso, imponendo alle classi dirigenti i suoi tempi e programmi che sono basati sull’urgenza delle attività e la crescita continua della produzione, da delocalizzare in funzione del costo del lavoro o della vicinanza ai mercati di sbocco.
Se questi fattori si integrano con la necessità di consumi che debbono necessariamente crescere con continuità, si comprende la ragione della “dilatazione” dei debiti degli Stati,delle aziende e dei cittadini, che ha generato, come conseguenza,oltre al depauperamento delle risorse comuni,una riduzione dell’utilizzo di merci/servizi e quindi una caduta di occupazione nei paesi “avanzati”.
Questa contraddizione in termini tra crescita infinita e realtà finita, necessita di una nuova valutazione paradigmatica che sappia vedere nel riuso e nell’uso condiviso una possibilità di conciliare l’inconciliabile.
Ovviamente questa scelta presuppone da parte dello Stato la predisposizione di un grande progetto che ponga al suo vertice attività che vedano gli investimenti previsti diffusi sul territorio e non centralizzati (grandi opere/pachidermi rosa), in grado poi di generare risparmi consistenti nella gestione successiva delle attività, contrariamente a ciò che accade oggi. Dovranno poi essere privilegiati tutti quei programmi che siano in grado di ridurre costantemente (ecco il valore dell’innovazione!) l’impiego di risorse ed energie non rinnovabili e che sappiano coniugare alta intensità di lavoro qualificato e crescita di produttività. Centrale, per questa ragione, dovrà essere il ruolo dell’educazione e la funzione della formazione, scolastica e permanente, che dovrà saper trasferire il piacere della conoscenza non strumentale ed insegnare ad apprendere con continuità, per poter costruire la nuova cultura dell’uso condiviso.
La conoscenza e la scolarità elevata non dovranno avere come obiettivo solo il miglioramento della condizione economico/sociale, quindi essere uno strumento,ma, parafrasando Kant (l’uomo), diventare un vero fine; perché conoscere consente di capire e quindi di decidere consapevolmente, per poter transitare da “consumatore”, a “consum-attore”, a cittadino. Infatti con l’economia della conoscenza sempre più diffusa, è impensabile disporre di pochi saperi strutturati, tipica di Stati a bassa scolarità o nei quali si accresca la disaffezione nei confronti del sapere, in quanto non più, automaticamente, apportatore di benessere crescente.
In questo le nuove tecnologie ed internet, in primo luogo, dovranno essere il perno di ogni ambito operativo e fornire gli strumenti per accrescere il progresso del Paese, grazie anche agli investimenti sulla banda larga, indispensabile per sviluppare piattaforme strutturali dove estendere la cultura dello scambio reciprocamente profittevole e non oneroso.
Infatti già oggi sperimentiamo a livello di massa la condivisione, sia con l’open source che con Linux e Mozilla che ci fanno mettere in comune il software senza onori e costi aggiuntivi. Se poi pensiamo aYoutube che ci permette di condividere le esperienze puntuali di vita vissuta, a Linkedin che lo fa con quelle professionali ed infine a Twiter e Facebook che stanno realizzando l’impensabile di far emergere e mettere in comune la vita stessa, ci rendiamo conto di quanto virtuale e reale siano interconnessi con continuità.
Questo non è che un inizio generalizzabile, ma che ora può dilatarsi, uscendo da internet e collocarsi nel Mondo reale per far condividere ed usare oggetti,manufatti, servizi e beni, all’interno di aree territoriali digitalizzate. Questo significa allungare il ciclo di vita dei prodotti, dare loro una nuova opportunità di soddisfare esigenze di chi non può permettersi di avere quanto gli occorre e principalmente sviluppare l’ambito della sostenibilità e del rispetto delle esigenze del nostro Pianeta. Ciò di cui stiamo scrivendo già avviene in forma embrionale ed occasionale, in uno dei servizi che fa riferimento al comparto forse più “maturo” ed “impattante”dell’attività manifatturiera: il mercato automobilistico. Ne discutiamo proprio perché si tratta del segmento di mercato tradizionale che ancora oggi nella sua lunga “filiera” assorbe una quantità di risorse occupazionali, materiali e finanziarie senza pari e dove l’applicazione dei concetti di riuso e condivisione, potrebbe produrre benefici e risparmi di entità elevatissime, per tutti i portatori di interessi.
Generalizzare esperienze come quelle del car sharing e del car pooling darebbe una spinta decisiva nella direzione di diffondere una cultura materiale in grado di far realmente cambiare atteggiamenti e comportamenti di tutti i cittadini e fornire basi reali di utilizzo anche a chi oggi o non può ancora permettersi un auto o la rifiuta in nome della sostenibilità ambientale.
I risparmi generati potrebbero fornire poi le risorse per sviluppare modelli di vita e mobilità, anche individuale, più sostenibili e meno invasivi ed accrescere la propensione ad investire nelle “smart city”, con meno traffico, minor inquinamento, energia rinnovabile ed interconnessione, per superare caos, conflittualità e sprechi di tempo. Come sempre la vera barriera al cambiamento è il primo passo da compiere, ora però, a differenza del passato, esistono condizioni propizie e la consapevolezza che l’alternativa è disponibile ed è anche percorribile.
Luigi Pastore
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