Accorciare il processo produttivo delle alghe utilizzate nella produzione del biopetrolio e limitare l’emissione di anidride carbonica. È l’idea di un gruppo di ricercatori sardi nata dalla collaborazione fra La Biomedical Tissues, impresa insediata presso il parco scientifico Sardegna Ricerca, l’Università di Cagliari e il CRS4, centro di Ricerca, Sviluppo e Studi Superiori in Sardegna, che si è concretizzata in un nuovo innovativo brevetto per la produzione di biocombustibile a partire dalla coltivazione di micro-alghe. L’aspetto innovativo dello studio consiste in particolar modo nell’idea di veicolare l’anidride carbonica, elemento fondamentale per la crescita delle alghe, immediatamente a valle del processo produttivo. La tecnologia di base è quella già utilizzata per la produzione di biopetrolio dalle alghe: l’elemento cardine è dunque il fotobioreattore, un grande contenitore all’interno del quale le alghe vengono nutrite con anidride carbonica. La fase successiva consiste invece nell’utilizzo diretto dell’olio vegetale estratto dalle alghe stesse. “Abbiamo immaginato di utilizzare i processi in fotobioreattore con l’obiettivo di limitare le emissioni di CO2 a bocca d’impianto. Per far questo valutiamo volta per volta la soluzione tecnologica più appropriata”, ha riferito Giacomo Cao, Professore Universitario del Dipartimento di Ingegneria Chimica della Facoltà di Cagliari, strettamente legato alla ricerca effettuata. Il primo risvolto applicativo del progetto è dunque intrinsecamente correlato a una minima, o addirittura inesistente, dispersione nell’ambiente del temuto gas serra. Un altro interessante aspetto da analizzare è il superamento del principale problema dovuto all’utilizzo di biomasse per la produzione di biocombustibile, ovvero l’immenso numero di ettari necessari per la produzione del biopetrolio, con conseguente diminuzione dei terreni destinati ad uso agricolo. La variante proposta dalla Biomedical Tissues risolve il problema alla radice: considerato l’approvvigionamento dell’anidride carbonica come un processo da svolgere immediatamente a valle del ciclo industriale, i terreni necessari per la dislocazione dei fotobioreattori rientrano sempre nella stessa categoria industriale, non invadendo in alcun modo gli spazi destinati ad uso agricolo o alimentare.
Un altro degli aspetti certamente più rilevanti del progetto è anche quello di poter usare come combustibile per un impianto di generazione elettrica direttamente le alghe prodotte nel fotobioreattore. “Il combustibile che otteniamo ha un alto potere calorifico, paragonabile a quello della legna”, afferma prof. Cao. Un convogliamento così diretto dell’anidride carbonica è dunque in grado di creare alghe altamente performanti e di utilizzare loro stesse, a seconda della situazione e delle esigenze, al posto del biopetrolio che producono. Lo scenario è dunque quello di un ciclo sostenibile perfettamente chiuso: un impianto che convoglia l’anidride carbonica prodotta immediatamente nel fotobioreattore, all’interno del quale crescono le alghe che poi vengono usate come combustibile per lo stesso impianto di partenza. Il tutto sempre in regime di incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, che consentono di acquisire i certificati verdi e i certificati bianchi.
Nel caso si volessero utilizzare le alghe nella modalità “standard”, e cioè per la produzione di olio vegetale, dobbiamo ricordare che esse secernono all’incirca 250/300 tonnellate di olio per ettaro seminato, contro le 3 – 5 tonnellate per ettaro ricavabili mediante la coltivazione di girasole o colza. Ne consegue dunque un impatto ecologico notevolmente ridotto rispetto alle coltivazioni comunemente usate per la produzione di biocombustibili.
I vantaggi che la tecnologia studiata comporta non sono certamente passati inosservati e, a detta dell’ing. Cao, “si hanno già decine di interlocuzioni che si spera portino alla realizzazione di un impianto dimostrativo al quale ci si augura possa seguirne uno industriale”. I costi per un’installazione pilota variano dai centomila euro al milione di euro, mentre è già stato fatto un calcolo per una centrale di grosso taglio di circa mille MW (l’equivalente di una centrale nucleare o di quella di Fiumesanto, in Sardegna) secondo cui occorrerebbero circa centocinquanta milioni di euro, cifra ammortizzabile grazie all’autoproduzione di combustibile e agli incentivi già citati in precedenza. Il pacchetto tecnologico proposto non necessita infine di una grande manutenzione, utilizzando soluzioni semplici ma innovative. Inoltre l’utilizzo delle alghe come fonte primaria per la generazione di energia elettrica o per la produzione di olio vegetale è ben sfruttabile in Italia, dove il clima mite e temperato facilita ulteriormente la crescita degli organismi vegetali all’interno del fotobioreattore. In presenza di climi freddi invece sarebbe necessaria un’adeguata coibentazione, con un ulteriore aumento dei costi complessivi.
L’insieme degli aspetti analizzati fino ad esso lascia quindi intendere che la tecnologia di sfruttamento delle alghe, e in particolar modo l’integrazione proposta dal gruppo di studiosi sardi, occuperà certamente un ruolo di rilievo in un futuro scenario di generazione elettrica sostenibile.
Il vero punto di forza del progetto sardo è stata però la sinergia che si è venuta a creare fra un’azienda privata, la Biomedical Tissues, un centro di ricerca, il CRS4, e l’Università di Cagliari. “La Biomedical Tissues è un’azienda che si occupa principalmente di ingegneria dei tessuti, ma che investe anche nella ricerca sul rinnovabile. Il progetto sulle alghe è stato commissionato dall’azienda che ha individuato come interlocutori CRS4 e Università di Cagliari”. Il primo brevetto, quello italiano, è del 2008 mentre nel 2010 è stato depositato il brevetto internazionale. Entrambi sono di proprietà della Biomedical Tissues.
La collaborazione avvenuta in Sardegna fra ente pubblico e impresa può essere vista come vero e proprio modello di una delle chiavi di svolta della ricerca italiana: uno stretto contatto fra aziende, centri di eccellenza ed enti pubblici, che possa portare in modo rapido ed efficiente al raggiungimento di un obiettivo comune, realizzabile solo con la piena condivisione di un unico progetto.
Gianluca Carta
Martina Manieli
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